Se c’è un “colpevole” impenitente a cui l’Italia maggioritaria a ragione sta addebitando (“parlano” per lui i sondaggi impietosi) questa sgangherata stagione giallo-rossa, si sa, è Matteo Renzi: colui il quale rivendica – con lucida follia – in queste settimane, con tanto di libro-manifesto, le virtù della sua «mossa del cavallo».
Ossia, utilizzando la metafora scacchistica, la spregiudicata, incoerente, disorganica scelta di aver fatto nascere un governo Pd-5 Stelle con l’unico obiettivo di «bloccare i sovranisti». Tradotto: impedire libere elezioni, esercizio di diritto fondamentale dei cittadini…
Si capisce senza troppi sforzi, allora, se a precisa domanda di Myrta Merlino («Anche lei farà la mossa del cavallo?»), Giorgia Meloni qualche giorno fa ha risposto così: «Nessuna mossa del cavallo, io sono un alfiere. Si sa esattamente dove vado». Una risposta d’istinto ma che più azzeccata non si può. L’alfiere nel gioco degli scacchi, infatti, è l’unica pedina che fa una scelta di campo netta e irriducibile: o bianchi o neri.
E su quell’asse è un protagonista assoluto della “battaglia”. «Forse non sono interessante a qualche giornalista – ha continuato, non senza una punta di sarcasmo, la leader di Fratelli d’Italia -. Muovo sempre nella stessa direzione…».
Già, è questa la “mossa dell’alfiere”: seguire una direttrice, una visione strategica più che sparigliare per il gusto tautologico della tattica. L’alfiere è chi sceglie, in nome di una precisa visione del mondo, di occupare uno spazio nel continuum destra/sinistra e su questo costruire un blocco sociale, con un programma e un’agenda.
Esattamente ciò che ha contraddistinto l’esperienza di Fratelli d’Italia fin dalla sua genesi: un posizionamento netto – la destra del centrodestra -, alternativo ai “Nazareni” (una tentazione ancora viva in Forza Italia) così come agli Ogm terzisti con interlocutori improbabili come i 5 Stelle (come ha fatto la Lega di Salvini).
Risultato? La “mossa dell’alfiere”, dopo la sbornia dei “tecnici” e gli entusiasmi fragilissimi della meteora giallo-verde, premia. E questa pedina nello scacchiere politico oggi può utilizzarla – su un piano oggettivo – solo Giorgia Meloni, dato che è l’unico leader che non ha mai effettuato cambi di campo, di “schema” o di accordo. Anche per questo motivo la crescita elettorale, i sondaggi e i flussi in uscita registrano la migrazione vero FdI di tanti delusi degli altri partiti della coalizione che premiano proprio la coerenza e la chiarezza dimostrati dalla madrina sovranista anche quando le percentuali e il vento sembravano indicare altri “valori”.
Sono sempre queste, poi, le stesse caratteristiche che stanno orientando l’atteggiamento di Meloni nei confronti del patto a tre siglato in vista delle sfide delle prossime Regionali – nel caso specifico su Marche e Puglia –; e sono ancora queste ad aver ispirato in maniera determinante due scelte importanti: quella di andare in piazza, per rispondere alla richiesta di rappresentanza delle categorie e degli autonomi in ginocchio, il 2 giugno scorso.
E quella, emersa ieri, di non partecipare alla passerella di Giuseppe Conte venduta come “Stati generali dell’economia”. «Non intendiamo partecipare a passerelle a favore di telecamera allestite in sfarzose ville di rappresentanza mentre milioni di italiani non sanno come arrivare a fine mese e aspettano ancora risposte dal Governo», ha spiegato non a caso Meloni che per prima ha rivendicato la posizione («Gli Stati Generali della Repubblica sono il Parlamento») che sarà adottata, alla fine, anche da Lega e Forza Italia.
Anche in questo caso, insomma, “l’alfiere” ha azzeccato la mossa: sgombrando il campo dai “pedoni” e dai “cavalli pazzi” che intendono trascinare l’opposizione nelle sabbie mobili dove si sono impantanati i contraenti del centrosinistra a 5 Stelle.
Adesso l’obiettivo è chiudere la partita e ridare la “scacchiera” agli italiani: lo scacco al re (finto) Conte è a un passo.