La sintesi di quanto accaduto negli States in queste elezioni di “mezzo termine” è tutta nel titolo di quest’articolo. Sebbene ci sia stata una vera e propria “chiamata” alle urne da parte dei Dem, e davvero ci sia stata un’affluenza al voto notevolissima per gli Stati Uniti, i Repubblicani di Donald Trump hanno tenuto il senato mentre i democratici si affermavano alla Camera, consegnando così agli elettori un’America sostanzialmente divisa.
Ora accadrà oltre oceano quello che accade anche da noi nelle stesse circostanze: entrambi gli schieramenti grideranno alla vittoria. Da dire che la vittoria al Senato dei Repubblica è stata determinata soprattutto da uomini vicini al presidente. Il rappresentante del Nord Dakota, Kevin Cramer, l’uomo d’affari dell’Indiana, Mike Braun e il procuratore generale del Missouri, Josh Hawley, sono tutti fedelissimi di Trump e hanno strappato il loro seggi ai candidati democratici che li detenevano. In Tennessee, ad esempio, Marsha Blackburn – siamo sempre tra i fedelissimi di Trump – ha sconfitto l’ex governatore, un democratico di lungo corso, favorito prima delle elezioni.
Ora sono vari gli scenari che si aprono, non tutti di facile lettura. Sicuramente due sono evidenti: la visione del mondo di Trump riguardo il potere giudiziario federale, il commercio, l’assistenza sanitaria e la spesa pubblica, nonché l’immigrazione, non è così facile da essere scalzata malgrado il voto in massa a queste ultime consultazioni di tutte le etnie presenti nel Paese. Di contro, aver consegnato la Camera per i prossimi due anni ai democratici significherà una probabile ondata d’indagini rispetto a patrimoni e affari di Trump e dei suoi, fino ad arrivare alla possibilità di un impeachment ventilato da alcuni democratici. Anche negli States, dunque, ai Dem sembra sempre una buona strada da percorrere quella che potrebbe permettere loro di scalzare gli avversari utilizzando il potere giudiziario quando non riescono a farlo con libere elezioni, e la cosa non può certo meravigliare noi italiani. Così, il fatto che il Senato sia rimasto sotto il netto controllo dei Repubblicani, potrebbe significare un baluardo di Trump a Capitol Hill per difendersi dagli attacchi che arriveranno.
Appare comunque chiaro un rafforzamento della posizione del Presidente all’interno del Senato. Questo in parte per i risultati delle elezioni che, come abbiamo detto, hanno prediletto i candidati più vicini alle sue posizioni, ma anche perché un paio di repubblicani come Jeff Flake, dell’Arizona, e Bob Corker , del Tennessee che hanno spesso espresso preoccupazioni sulla retorica di Trump e sulla sua filosofia di governo, sono andati in pensione, e John McCain, repubblicano senatore dell’Arizona, molto potente e anche molto critico con il Presidente, è morto in agosto. Inoltre, c’è da segnalare che lì dove i candidati democratici hanno cercato di sconfiggere i repubblicani che più sono andati a braccetto con Trump sulle politiche dell’immigrazione e della sanità, sono stati inevitabilmente sconfitti. Uno degli esempi più clamorosi si è avuto forse in Nord Dakota, dove la moderata democratica Heidi Heitkamp è stata scalzata dal suo seggio alla Camera da Kevin Cramer, vicinissimo a tutte le posizioni di Trump. Situazione simile nell’Indiana, e nel Missouri, accadimenti che, nonostante la vittoria democratica alla Camera, non faranno per niente felici i Dem.
Per il resto, questo frazionamento del Parlamento tra repubblicani e democratici, probabilmente renderà più faticoso raggiungere un accordo sulle grandi questioni e questo potrebbe avere ripercussioni anche sull’economia che fino ad ora era andata benissimo. Sul tavolo resta da chiudere importanti accordi commerciali con Messico e Canada, e non si sa se con questa divisione, si potrà arrivare ad una posizione univoca da portare ai colloqui.