Il popolo francese -o meglio una parte, a breve specificherò il perché di questa precisazione spesso omessa da sedicenti analisti e politologi di parte- ha riconfermato all’Eliseo Emmanuel Macron per i prossimi cinque anni. Il presidente uscente al ballottaggio ha ottenuto oltre diciotto milioni di voti conquistando il 58,55% , la sfidante Marine Le Pen ha invece incassato oltre tredici milioni di preferenze raggiungendo un vero record per la destra francese che supera la soglia del 41%.
Il dato preoccupante, a cui accennavo nell’incipit e che sembra passare per secondo o addirittura terzo piano nella narrazione e celebrazione di queste ore post sbornia elettorale a base di bollicine francesi, è l’astensionismo che tocca la soglia del 28% un vero e proprio risultato eclatante dal 1969 a oggi considerando l’importanza del secondo turno elettorale.
A Marine Le Pen va riconosciuto il merito di essersi battuta a testa alta e con onore contro tutti; anche questa volta i grigi burocrati di Bruxelles hanno tirato un lungo sospiro di sollievo quando sono uscite le prime proiezioni ufficiali del risultato elettorale. Ma il giubilo di gaudio di costoro è stato piuttosto breve in quanto il risultato ottenuto dalla candidata di Rassemblement National se contestualizzato e analizzato in maniera profonda e non effimera, paradossalmente non costituisce una sonora Waterloo anzi tale risultato è la base di (ri)partenza per plasmare un vero patriottismo, un sovranismo economico e una UE delle nazioni.