Giulia Cecchettin, la ragazzina di 22 anni di Vigonovo con i capelli neri e il sorriso dolcissimo per cui l’Italia intera ha pregato e sperato per una settimana, è stata ritrovata senza vita lo scorso 18 novembre nei pressi del lago di Barcis, al confine tra Veneto e Friuli Venezia-Giulia. Ad assassinarla l’ex fidanzato, reo confesso, Filippo Turetta, suo coetaneo. Quello di Giulia è un “femminicidio” figlio di una relazione tossica che già da tempo angosciava la 22enne. Secondo gli avvocati della famiglia Cecchettin, infatti, il delitto sarebbe aggravato dallo stalking e dalla “fame di possesso” di Turetta nei confronti di Giulia. Da qui è partita un’ondata di sacrosanta indignazione per la morte di una ragazza che voleva vivere libera e che pochi giorni dopo la sua scomparsa avrebbe discusso la sua tesi di laurea in ingegneria. Il dibattito che ne è seguito, però, non è stato privo di contraddizioni.
Filippo Turetta non è un “mostro” ma un “figlio sano del patriarcato”, è l’accusa di Elena, la sorella di Giulia. E una certa intellighenzia di sinistra non ha esitato a cavalcare queste parole collegando ad esse un nome e un volto: quello di Giorgia Meloni. La prima presidente del Consiglio donna di questo Paese sarebbe “espressione della cultura patriarcale” e quindi (è il sottotitolo) sarebbe in qualche modo complice di un sistema retrivo. Lei che è cresciuta senza padre in una famiglia di sole donne e che nel 2013, tra le altre cose, fu prima firmataria della proposta di legge per la ratifica ed esecuzione della Convenzione di Istanbul, per inciso il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante per la prevenzione e il contrasto della violenza di genere. Insomma, certe uscite della sinistra farebbero sorridere, se la questione non fosse fin troppo seria.
Sono oltre cento le donne uccise nel 2023 da mariti, fidanzati o ex. Un massacro silenzioso che esige una risposta da parte delle istituzioni. Il governo guidato da Giorgia Meloni non ha perso tempo: con l’approvazione del disegno di legge Femminicidio si è impegnato a rafforzare le norme anti-violenza soprattutto sul fronte della prevenzione, per fermare le situazioni pericolose prima che sia troppo tardi. Sono stati incrementati i fondi per i centri anti-violenza, organizzate campagne di diffusione del numero verde 1522 e di sensibilizzazione nelle scuole, è stato rifinanziato con la nuova legge di bilancio e reso strutturale il “reddito di libertà” e avviato un percorso per la formazione del personale coinvolto in queste situazioni. E ancora, sono stati predisposti i decreti attuativi della legge sulla raccolta dati sul fenomeno. Questi i fatti.
Nelle manifestazioni andate in scena in queste settimane, a cui hanno preso parte anche alcuni leader dell’opposizione e dei sindacati, di proposte concrete per la difesa delle donne se ne sono viste poche. In compenso, le attiviste di Non una di meno hanno pensato bene di assaltare, con tanto di ordigno incendiario, la sede di Pro Vita e Famiglia a Roma. Il movimento femminista ha rivendicato di aver “sanzionato” la Onlus “espressione del patriarcato becero e anti-scelta”. Tradotto: alla violenza si risponde con altra violenza. La segretaria del Pd Elly Schlein, presente in piazza, sembra aver tacitamente approvato (visto che non ha detto una parola sull’accaduto). Ma andiamo avanti: le uniche bandiere ammesse nella piazza femminista sono state quelle della Palestina. A proposito, sarebbe interessante assistere ad un confronto sul patriarcato tra Non una di Meno e i leader di Hamas. Ma forse accusare di patriarcato chi costringe le donne a coprirsi con il burqa e ad abbassare lo sguardo di fronte agli uomini è poco politically correct. E infatti per la povera Saman Abbas, uccisa perché voleva vivere all’occidentale, non ci fu nessuna marea fucsia.
Per onorare la memoria di Giulia non serve aggiungere odio all’odio. Bisogna lavorare perché non accada più. Questo significa anche combattere lo sgretolamento della famiglia e sì, la “progressiva distruzione della figura maschile”, per dirla con le parole della scrittrice Susanna Tamaro, che ha trasformato la naturale attitudine “protettiva” dell’uomo in una patologica possessività. La demonizzazione del “padre” e del “maschio” non ci farà fare passi avanti. Oggi la società consumistica ci vorrebbe il più possibile isolati e, di conseguenza, vulnerabili. Sostenere una nuova alleanza tra uomo e donna basata sul rispetto e sulla complementarità è la chiave per poter innescare un cambiamento nelle nuove generazioni.