Filippo Turetta condannato all’ergastolo. Gino Cechettin: “La violenza di genere va combattuta anche con la prevenzione”

Filippo Turetta è stato condannato all’ergastolo per l’omicidio dell’ex fidanzata di soli 22 anni Giulia Cecchettin, uccisa con 75 coltellate l’11 novembre 2023 a Fossò, in provincia di Venezia. La pena inflitta al 22enne veneto con una sentenza emanata proprio ieri 3 dicembre 2024, è stata la più severa possibile. L’articolo 22 del codice penale afferma infatti che “La pena dell’ergastolo è perpetua, ed è scontata in uno degli stabilimenti a ciò destinati, con l’obbligo del lavoro e con l’isolamento notturno. Il carattere perpetuo della pena è però mitigato dalla possibilità concessa al condannato all’ergastolo di poter usufruire, dopo aver scontato almeno ventisei anni, della liberazione condizionale (art. 176) quando in carcere abbia tenuto un comportamento tale da potersi considerare sicuro il ravvedimento e la resipiscenza”.

Si è molto discusso in questi giorni sulla legittimità costituzionale dell’ergastolo, che sembrerebbe in contrasto con la funzione rieducativa della pena. La Corte Costituzionale dal canto suo ha sempre ritenuto tale pena non contraria al senso di umanità né ostativa alla rieducazione del condannato. Per contro, è stato ritenuto che essa conservi dunque una residua funzione simbolico-general-preventiva, in relazione alle fattispecie di maggior gravità. Le fattispecie più gravi di reato vengono dunque accompagnate dalla pena più severe, al fine di fungere da deterrente per il resto della società.

Quel “fine pena mai” è previsto ad ogni modo esclusivamente per reati di estrema gravità, come quelli legati alla mafia o al terrorismo. In tutti gli altri casi esistono opportunità di lavoro, permessi e possibilità di guadagnarsi forme di libertà. Turetta infatti potrebbe ottenere la liberazione condizionale a 48 anni, dopo aver scontato 26 anni di detenzione, nel 2049. Lo Stato deve necessariamente garantire la libertà dell’individuo e l’eguaglianza dei cittadini davanti alla legge, e questo è possibile anche grazie al Principio della certezza del diritto, secondo cui ogni persona deve essere posta in condizione di valutare e prevedere, in base alle norme generali dell’ordinamento, le conseguenze giuridiche della propria condotta.

Commoventi e significative sono state le parole del padre di Giulia, Gino Cecchettin dopo la sentenza di condanna all’ergastolo a carico di Filippo Turetta: «Non è una sentenza che fa la differenza per la vita dei congiunti, il dolore rimarrà fino all’ultimo dei nostri giorni e non possiamo fare nulla. Come famiglia noi non ci aspettavamo nulla. Guardiamo sempre avanti, a noi è stato tolto tutto un anno fa e quindi da quel punto lì in poi, nulla può cambiare». «La mia sensazione è che abbiamo fallito tutti, come società», ha aggiunto Gino Cecchettin uscendo dall’aula. «Non sono né più sollevato né più triste rispetto a ieri o domani – ha affermato – È una sensazione strana, pensavo di rimanere impassibile». «È stata fatta giustizia, la rispetto, ma dovremmo fare di più come esseri umani – ha sottolineato – La violenza di genere va combattuta con la prevenzione, con concetti forse un po’ troppo lontani. Come essere umano mi sento sconfitto» ha concluso Gino Cecchettin.

Parole simile erano state pronunciate dopo la sentenza del 25 Novembre 2024 da Chiara Tramontano, sorella di Giulia tramontano, uccisa a coltellate a soli 29 anni e incinta di sette mesi, poco prima della Cecchettin, il 27 maggio 2023 a Senago, in provincia di Milano, dal fidanzato Alessandro Impagnatiello, condannato anch’esso all’ergastolo. Queste le sue altrettanto commoventi parole dopo la sentenza: “Nessuna donna ha vinto oggi. Lo posso dire con certezza. Vinceremo solo quando potremo camminare libere per le strade di questo Paese e ci sentiremo sicure e ci sentiremo soddisfatte della nostra vita e di quello che possiamo raggiungere”

La violenza di genere è un concetto estremamente sfaccettato, che include “qualsiasi forma di violenza fondata sul genere che provochi un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne”. Essa comprende varie forme di violenza, dal caso estremo del femminicidio alla reclusione in casa, a stalking e revenge porn. Prima di arrivare alle forme più eclatanti di violenza (minacce dirette, percosse, insulti ecc…), ci sono numerosi fattori d’allarme, che possono essere indizi di una situazione di violenza di genere. Tra questi ci sono gli atteggiamenti controllanti (es. controllare come la compagna si veste, con chi esce, quanto, dove), l’isolamento della vittima da amici e famigliari ed esplosioni di rabbia sproporzionate scatenate da fatti irrilevanti, e seguite da grandi scuse.

Nei casi più gravi, la vittima manifesta stati apparentemente ingiustificati di paura, ansia, depressione, attacchi di panico, perdita di fiducia, senso di colpa; può arrivare addirittura a sviluppare dei disturbi alimentari.

Il concetto di parità di genere, che implica l’uguaglianza tra uomini e donne in diritti, opportunità e responsabilità, è fondamentale nella lotta contro la violenza di genere. La violenza non nasce dal nulla: è il risultato di stereotipi di genere radicati, che vedono le donne come “inferiori” o “subordinate”, e gli uomini come “dominanti” o “aggressivi”. Questi stereotipi sono spesso rafforzati dalla cultura popolare, dai media, dalle tradizioni familiari e, purtroppo, anche dal sistema educativo stesso. Insegnare il rispetto per i diritti umani, la dignità di ogni individuo, l’autodeterminazione, il diritto alla libertà e alla sicurezza e l’importanza del consenso in ogni relazione è essenziale.

Mentre le scuole svolgono un ruolo centrale nell’educazione alla parità di genere, non si può ignorare l’importanza fondamentale della famiglia nell’influenzare i valori e le convinzioni dei giovani. I genitori, in quanto primi educatori, sono spesso i modelli di riferimento per i figli, e le loro attitudini nei confronti della parità di genere, del rispetto e della non violenza si riflettono direttamente nelle azioni dei bambini. Il dialogo familiare sulla parità di genere è quindi cruciale. I genitori devono essere consapevoli dei messaggi che trasmettono ai propri figli, anche attraverso azioni quotidiane. Ad esempio, se un padre sostiene una visione tradizionale della famiglia in cui la madre è responsabile dei lavori domestici e del bene dei figli, trasmette implicitamente un messaggio di disuguaglianza. Allo stesso modo, se una madre tollera comportamenti violenti o prepotenti del figlio, questa può essere vista come una forma di approvazione implicita della violenza. Invece, quando i genitori promuovono l’idea di un’uguaglianza tra i sessi, di un dialogo aperto e del rispetto reciproco, sono in grado di formare giovani adulti più consapevoli e rispettosi.

In definitiva, l’educazione è un pilastro fondamentale nella prevenzione della violenza di genere. Le scuole, gli educatori, le famiglie e la società nel suo complesso devono lavorare insieme per creare un ambiente che promuova la parità di genere, il rispetto reciproco e l’uguaglianza. Sebbene l’insegnamento dei diritti umani e della parità di genere nelle scuole possa sembrare solo un passo iniziale, rappresenta un cambio di mentalità che può ridurre a lungo termine la violenza di genere e le disuguaglianze, oltre che il numero di crimini orrendi come il femminicidio. Ogni giovane che cresce con una comprensione più chiara del rispetto, della dignità e della parità è un passo verso una società più giusta e meno violenta. La formazione delle nuove generazioni non è solo una responsabilità degli educatori, ma di tutti noi, come cittadini e genitori, perché solo con un impegno collettivo possiamo sperare di costruire un futuro libero dalla violenza.

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Manuela Cunsolo
Manuela Cunsolo
Laurea magistrale in Giurisprudenza, vive a Catania dove attualmente svolge la Pratica forense presso uno studio penale. Alle scuole superiori ha iniziato a fare volontariato in uno dei quartieri disagiati della sua città dando lezioni di doposcuola ai bimbi. Sempre il suo amore per i bambini l'ha spinta a diventare volontaria Abio presso i reparti di pediatria generale, oncologica e broncopneumologia del Policlinico di Catania per circa 10 anni. Il suo sogno è di diventare un avvocato penalista e una mamma.

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