Futurismo: provocazione italica

Questo modico intervento intorno ad una avanguardia artistica, quale il Futurismo, è davvero una considerazione che intende contestualizzare il momento storico e, soprattutto, tecnologico da cui nacque, ossia un momento di grande industrializzazione italica che vide il nostro paese ben fornito di infrastrutture elettriche ed industriali, come di imprenditori e tecnici di notevoli capacità; il movimento futurista nacque con un provocatorio manifesto scritto nel 1909 da Filippo Tommaso Marinetti, un avvocato dotato di grande creatività letteraria quanto di spirito avanguardistico, militare durante la prima guerra mondiale e grande provocatore, che intendeva tradurre nel contesto letterario ed artistico, ma con i limiti che poi emergeranno, il medesimo spirito innovatore e avveniristico, già usato dalla tecnologia; i risultati furono però assai modesti e transeunti. La stesura del Manifesto Futurista, secondo la consuetudine critica, sarebbe databile al 20 febbraio del 1909, sul Figaro di Parigi, che diede notorietà internazionale al movimento ma, in effetti, il Manifesto fu pubblicato su giornali locali già dal 5 febbraio dello stesso anno, quindi sulla Gazzetta dell’Emilia, Il Pungolo, la Gazzetta, L’Arena, Il Piccolo, Il Giorno e dalla Tavola Rotonda. L’intento principe del movimento futurista fu quello di dissacrare la tradizione culturale, ossia preterire il trascorso, definito da Marinetti come “passatismo”, e cercare nuove tecniche letterarie ed artistiche che agevolassero il rinnovamento culturale italiano. Nulla di sacrilego certamente, ma se consideriamo la pletorica quantità di manifesti futuristi che asserivano i medesimi intenti avanguardistici nei diversi contesti culturali, includendo anche quello culinario, di cui dopo, dobbiamo considerare che lo stesso Marinetti intese solo provocare e non superare una tradizione culturale; infatti l’arte più adusa negli anni della storia figurativa umana, ossia la pittura, con tecniche differenti e diversi stilemi ma sempre equiparabile nell’intento dalle prime tracce grafiche dell’uomo, ebbe il suo manifesto futurista, la scultura non fu meno celebrata con gli assiomi avanguardistici, quindi Umberto Boccioni nell’11 aprile del 1912 scrisse: “La scultura nei monumenti e nelle esposizioni di tutte le città d’Europa offre uno spettacolo così compassionevole di barbarie, di goffaggine e di monotona imitazione, che il mio occhio futurista se ne ritrae con profondo disgusto! Nella scultura d’ogni paese domina l’imitazione cieca e balorda delle formule ereditate dal passato, imitazione che viene incoraggiata dalla doppia vigliaccheria della tradizione e della facilità.”; il medesimo intento dissacratore e provocatorio assume Carlo Carrà per l’ideazione sia narrativa che pittorica dei Funerali dell’anarchico Galli, un suo quadro: “Io che mi trovavo senza volerlo al centro della mischia, vedevo innanzi a me la bara tutta coperta di garofani rossi ondeggiare minacciosamente sulle spalle dei portatori; vedevo i cavalli imbizzarrirsi, i bastoni e le lance urtarsi, sì che a me parve che la salma cadesse da un momento all’altro e che i cavalli la calpestassero. Fortemente impressionato, appena tornato a casa feci un disegno di ciò a cui ero stato spettatore.”, ma ogni impeto figurativo descritto sommariamente nei manifesti menzionati iniziarono dalla provocazione di Marinetti, che recita: “Noi vogliamo cantare l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità. Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia. La letteratura esaltò fino ad oggi l’immobilità pensosa, l’estasi e il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno. Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità. Un automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo…. un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia. Noi vogliamo inneggiare all’uomo che tiene il volante, la cui asta ideale attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita. Non v’è più bellezza, se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro. La poesia deve essere concepita come un violento assalto contro le forze ignote, per ridurle a prostrarsi davanti all’uomo”. Questi assunti futuristici sono solo provocazioni, che rasentano l’astrattismo e la pura teoria, senza tralasciare qualche assunto davvero ellittico quale: “Noi vogliamo glorificare la guerra sola igiene del mondo”, come contraddittorio risulta qualche passo dettato più dallo spirito, kantianamente espresso, ossia: “L’entusiasmo è quel momento quando lo spirito ha il sopravvento sulla razionalità”, quindi: “È dall’Italia, che noi lanciamo pel mondo questo nostro manifesto di violenza travolgente e incendiaria, col quale fondiamo oggi il « Futurismo», perché vogliamo liberare questo paese dalla sua fetida cancrena di professori, d’archeologhi, di ciceroni e d’antiquarii”, se il Futurismo voleva liberare l’Italia dalla fetida cancrena, perché annunciarlo al mondo? Avrebbe dovuto annunciarlo alla sola Italia, altro argomento resta il disprezzo della donna, che lo stesso Marinetti decanta e menziona nello stesso manifesto, certamente un assunto oggi non condivisibile, ma Marinetti scrivendo nel 1909 potè ritenerlo argomento valido, ma lo stesso Filippo ebbe tre figlie con Benedetta Cappa, detta Beny, scenografa ed artista allieva di Giacomo Balla, che sposò Marinetti nel 1923, quindi gli intenti antifemminili forse erano trascorsi. La contraddizione netta emerge dal Manifesto dell’architettura futurista, dove Sant’Elia, l’architetto autore del manifesto scrisse: “La bellezza nuova del cemento e del ferro viene profanata con la sovrapposizione di carnevalesche incrostazioni decorative che non sono giustificate né dalle necessità costruttive, né dal nostro gusto e traggono origine dalle antichità egiziana, indiana o bizantina”, certamente reale come analisi critica, ma dobbiamo considerare che il medesimo Sant’Elia riprese spunto ideativo, per qualche suo disegno, da qualche referente egizio, come per qualche ardito grattacielo assunse dal Flatiron building di New York del 1902, quindi il futurista Sant’Elia vede ancora al passato dato che il manifesto di Sant’Elia risale al 1914. Una provocazione ben riuscita quantunque caduca.

Alessandro Lusana

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