È grave che l’Unione europea abbia proposto il progetto DragTivism, un workshop rivolto ai minorenni in cui vengono insegnati i “fondamentali” del mondo Lgbt, e in particolare delle drag queen, spendendo circa 36mila euro dei nostri soldi, come parte del programma Erasmus+. È forse ancora più grave se, a unirsi a questa narrazione di un mondo, per così dire, “liquido” proposta dal mondo progressista (lo chiamano progresso…), c’è una ateneo nostrano, quello di Roma Tre, che opera nella Capitale.
Bambini condizionati
Sulle pareti dell’Università, in virtù di quella istruzione che dovrebbe essere super partes, si è ben pensato di affiggere i volantini che pubblicizzano la nuova deriva woke: insegnare – per molti è indottrinare – ai bambini il mondo Lgbt. “Laboratorio per bambin* trans e gender creative”, è il nome dell’iniziativa che prenderà il via sabato, nella sede dell’Università in zona Termini. Viene raccontata come “un progetto di ricerca con strumenti ludico-creativo per ascoltare e accogliere le storie di bambin* e ragazz* (5-14 anni) condotto da ricercator* della comunità e un’insegnante montessoriana”. Ci sono, insomma, tutti i presupposti per parlare di deriva woke: schwa a profusione, indottrinamento dei bambini (dai 5 anni), ricercatori della comunità Lgbt e l’immancabile “insegnante montessoriana”. Tutto pronto per condizionare gli orientamenti dei minori nel pieno della loro fase di crescita e di formazione personale: “Le Università – ha dichiarato Marco Scurria, vicecapogruppo di Fratelli d’Italia al Senato – rappresentano luoghi di crescita, di confronto, libertà di espressione e determinazione. Per questo l’istituzione di un laboratorio per bambin* trans e gender creative istituito presso l’Università di Roma 3, è una chiara violazione alla libertà di minori. Queste attività infatti riguardano ragazzi giovanissimi tra i 5 e i 14 anni, i quali vengono posti ad assurdi e inaccettabili condizionamenti sulla propria sfera intima”.
Possibile utilizzo improprio di fondi pubblici?
Non è finita qui. Perché, a quanto pare, per finanziare il progetto l’Università avrebbe usufruito di fondi pubblici derivanti dal Pnrr. Secondo Libero, si tratterebbe di 24mila euro. Dal bando rivolto all’ateneo, si capisce che l’intento del ministero era diametralmente opposto: non certamente indottrinare bambini e minori e scaraventarli nel mondo del “fluido”, ma “promuovere comportamenti di contrasto ai discorsi d’odio online”. Dal cyberbullismo a un incontro per bambini (anzi, bambin*) trans: un volo pindarico. Il progetto avrebbe dovuto, in particolare, “condurre una revisione sistematica e dei focus group per sviluppare un’operazionalizzazione empirica dei discorsi d’odio online”, “raccogliere dati longitudinali intensivi attraverso diari giornalieri per analizzare le conseguenze dell’esposizione ai discorsi d’odio online” e “identificare i processi longitudinali e i mediatori associati a comportamenti di contrasto dei discorsi d’odio online”. Subito, allora, si è mobilitato il ministro dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini, incaricando gli uffici competenti di controllare se il progetto corrisponde ai requisiti contenuti nel bando, contattando anche l’ateneo per avere maggiori informazioni sul caso.
Scelta inopportuna
“Come ha evidenziato il ministro Bernini – ha continuato Scurria – è urgente fare chiarezza e vedere o meno se il progetto corrisponda ai requisiti del bando che ha permesso all’Ateneo di accedere ai fondi pubblici. Ogni adulto ha il sacrosanto diritto di essere chi vuole, ma blocchiamo subito chi agisce scelleratamente sui nostri bambini”. Altre voci di indignazione si sono aggiunte alla polemica, come quella di Lavinia Mennuni, senatrice di Fratelli d’Italia e componente della commissione bicamerale Infanzia e Adolescenza: “Laddove l’attività in questione fosse confermata – ha detto –, chiederei al ministro dell’Università, Anna Maria Bernini, se vi siano responsabilità nell’aver autorizzato una iniziativa inopportuna sia nel merito dei temi trattati sia per un uso improprio delle strutture universitarie, e se non si ritiene di intervenire a tutela dei minori. Un simile indottrinamento, infatti, non può essere tollerato. Già altrove – ha aggiunto –, in scuole di ogni ordine e grado, numerosi genitori denunciano da tempo attività rivolte ai loro figli con chiari riferimenti alla sfera intima. Mi auguro che anche l’Università Roma Tre fermi, se confermata, questa iniziativa revocando – ha concluso – ogni autorizzazione e patrocinio”.