Giustizia, la riforma è per gli italiani. Meloni all’Anm: “Lavoriamo nel rispetto della Costituzione”

La riforma della giustizia rientra pienamente nel programma di governo sul quale si è basato il voto di milioni di italiani che, il 25 settembre 2022, hanno scelto il centrodestra. Separazione delle carriere tra organi inquirenti e organi giudicanti, il sorteggio per i membri del Csm, la creazione dell’Alta Corte Disciplinare da affiancare al Csm per le decisioni disciplinari dei magistrati. Un nuovo sistema volto a tutelare i cittadini. Un nuovo disegno scelto dai cittadini che, in questa fase che possiamo ancora definire istruttoria, meriterebbe quantomeno l’interesse della magistratura a migliorare, se e dove possibile, una riforma voluta dai cittadini. Piuttosto che collaborare, però, i magistrati si rinchiudono, disertando l’aula durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario della Corte d’Appello di Roma alla presenza del ministro Nordio. Per loro questa riforma è una sorta di offesa alla loro categoria e alla Costituzione. Una Costituzione che non viene però mai considerata nella sua interezza. L’articolo 49 infatti recita: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Un articolo il cui significato è molto semplice: vincono i cittadini che si uniscono in partiti, che vengono eletti in Parlamento dal resto del popolo votante e che fanno le leggi.

Meloni: “Non trovo articolo che vieta riforme della giustizia”

Ma in questo braccio di ferro inutile tra governo e magistratura che, Costituzione alla mano, porterebbe alla vittoria del centrodestra in nome della sovranità del popolo, se la maggioranza continua a chiedere una collaborazione con i magistrati è perché il loro valore aggiunto può apportare delle migliorie che gioverebbe al Paese intero. Perché, come ha spiegato il presidente del Consiglio Giorgia Meloni dal punto stampa di Gedda rivolgendosi ai membri dell’Anm, “anche tra le posizioni più distanti, quando ci si siede a un tavolo e ci si confronta, dei punti di contatto si trovano”.

Meloni si appella al citato articolo 49 e dice: “Noi stiamo facendo qualcosa che è perfettamente adeguato a quello che c’è scritto nella Costituzione, mentre io non trovo un articolo della Costituzione che dice che la giustizia non si può riformare”. Lasciare la sedia vuota non è dunque il gesto che ci si aspettava o che possa far bene alla Nazione. Un magistrale Alfredo Mantovano, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con un passato da magistrato, valuta davanti ai colleghi che non ha preso il gesto come “mancanza di rispetto istituzionale”, piuttosto come “una opportunità che si perde. La si perde sul piano delle relazioni interpersonali” e, “ancora di più, sul piano delle relazioni tra istituzioni. Perché non abbiamo nessuna intenzione di fare una riforma contro i magistrati: vogliamo fare una riforma per i cittadini”.

Mantovano: “Abbandonare il dialogo è segno di debolezza”

L’obiettivo dunque è fare bene per la Nazione. E una serie di domande retoriche che si pone Mantovano nel suo intervento, restano inevase: “Di fronte a un governo che propone al Parlamento una legge di riforma è legittimo non condividere nulla. Ma perché rifiutare anche solo di parlarne? Perché uscire dai canoni della dialettica per entrare in quelli dell’alternativa “o tu o io”? È qualcosa che non fa bene a nessuno”. Per Mantovano, non fa bene al governo perché “lo si priva di una voce qualificata con cui confrontarsi”. E non fa bene neppure ai giudici perché “abbandonare il tavolo del dialogo non è una manifestazione di forza, se mai di debolezza”. Aggiungiamo che non fa bene all’intera Nazione, a cui viene sottratto un possibile apporto di chi la giustizia la conosce bene e potrebbe adoperarsi in prima linea per migliorare i suoi difetti. Difetti che è ormai inutile negare: se la maggioranza dei cittadini non ha più fiducia nei magistrati, vuol dire che qualcosa va cambiato. E la riforma del centrodestra mira proprio a questo.

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