I giudici non possono scegliere i Paesi sicuri: è una decisione politica

Non è affatto secondario il problema del conflitto tra poteri in materia di immigrazione. Governo e magistratura si battono affinché l’uno abbia la meglio sull’altro. Soltanto che ci sono molti fattori per i quali è lecito, anzi giusto, pensare che l’azione in materia spetti in tutto e per tutto ai singoli esecutivi nazionali, espressione della volontà popolare dichiarata durante il voto elettorale.

L’Italia sta vivendo un periodo di contrasto tra poteri che potrebbe ripercuotersi in tutta Europa. La celerità con cui i nostri giudici, mai come ora prontissimi a recepire nel giro di poche ore una sentenza comunitaria, hanno applicato quanto disposto dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea, ha fatto scoppiare il caso prima nella nostra Nazione, ma non si esclude che altri governi possano ritrovarsi nella stessa situazione. E perché questo accada, non serve per forza quel pizzico di ideologia che invece si intravede – giusto un po’ – nelle sentenze di Catania, di Palermo, di Roma, che hanno fatto scoppiare il caso sull’accordo con l’Albania.

Sentenze e interpretazioni

Si può dire, in qualche modo, che il problema nasca indirettamente proprio dalla sentenza della Corte europea, la cui interpretazione, pur essendo il caso concreto distante dal problema poi sorto sulla lista dei Paesi sicuri, ci dice che un Paese non può essere considerato sicuro se non lo è nel suo intero territorio. Se ci sono anche minime parti di territorio fuori dal controllo del governo centrale in cui non vengono garantiti i diritti fondamentali, quel Paese non può essere considerato sicuro e i migranti originari di quel Paese non possono essere rimpatriati. Interpretazione dunque subito recepita in Italia, ma che verrà adottata anche in altri Stati, che si ritroveranno con lo stesso problema: vedere i giudici scavalcare il ruolo dei governi sovrani. Specie se poi quell’interpretazione viene allargata, come sta succedendo in Italia, inglobando anche le discriminazioni di quegli Stati nei confronti di singole categorie di persone. Ne scaturisce, insomma, che potenzialmente nessun migrante può essere rimpatriato se facilmente si dichiara appartenente a una di quelle categorie, anche se non è così. E anche se non è dimostrabile: come provare di essere omosessuale o migrante climatico? Ma, paradosso del paradosso, si è arrivati al punto in cui anche chi non appartiene a certe categorie non viene rimpatriato. Il problema è chiaro: nessun Paese riesce a rispettare tutti i criteri imposti dai giudici – a tratti neanche i Paesi occidentali ci riescono –. Giudici che dunque si riservano il potere di decidere le politiche migratorie in sostituzione agli esecutivi.

È palese a tutti, però, che certe decisioni, le quali si legano anche alla sicurezza interna del singolo Stato, spettano ai governi, votati dai cittadini sulla base dei loro programmi. Le decisioni spettano ai governi anche perché non esiste ancora una legislazione comunitaria e univoca da far rispettare a tutti gli Stati membri in fatto di Paesi sicuri. Ogni Stato redige la sua lista, ogni governo fa le proprie valutazioni, meramente di sicurezza ma anche e soprattutto politiche, che abbracciano in qualche modo anche il campo delle politiche estere. Non a caso, prima che i nostri giudici obbligassero il Governo Meloni a renderla un decreto legge, la lista dei Paesi sicuri si configurava come un decreto interministeriale, nato dalla cooperazione tra ministero degli Esteri, ministero dell’Interno e ministero della Giustizia. Come può un giudice sostituirsi al ruolo di tre ministeri, che fanno politica. La questione è proprio questa: per farlo, alcuni magistrati hanno iniziato a fare politica.

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1 commento

  1. Caro Andrea, il problema purtroppo è ancora più grave.
    La legislazione internazionale prevale su quella nazionale? Sembra così, ma se è così è una aberrazione.
    Sono le singole Nazioni, a mio modo di vedere, che devono poter di volta in volta, esaminando le leggi internazionali, decidere se aderire o meno.
    Ad esempio questa sul diritto di asilo, che insorgerebbe per i più svariati motivi, quali ad esempio climatici (!), di diverse condizioni nel territorio (!!), di legislazione locale (!!!) l’adesione a tale legislazione dovrebbe essere respinta dall’Italia.
    C’è probabilmente più di un miliardo di africani che seconto tali criteri avrebbe diritto di asilo in Europa, o in Italia.
    L’Italia si dissoci da tali leggi assurde.
    In un Paese deve poter entrare chi quel Paese decide di accogliere, sulla base della sua esclusiva legislazione e valutazione di opportunità.
    Se esiste infatti una norma sovranazionale cui l’Italia aderisce, è logico che Magistrati italiani o europei la applichino, con danno dell’Italia e comunque dell’incauto Paese che ha dichiarato valide per sé tali leggi.
    Sarò finalmente anch’io tacciato di sovranismo, ma qui si supera ogni limite di imbecillità. Non c’entra qui la solidarietà internazionale, c’entra il diritto del popolo, dopo secoli di lotta per la libertà, di governarsi e decidere delle proprie risorse e del proprio futuro.
    Quanto ai magistrati faziosi, cominciamo a togliere loro strumenti impropri, poi si parlerà anche di riforma della giustizia.
    Lo ripeto ancora: è immorale, prima ancora che anti democratico, prevedere che esistano funzionari pubblici che non rispondono a nessuno del loro operato.

    Con affetto

    Alessandro

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