Il blitz da Trump, la lunga notte e la grande vittoria di Giorgia Meloni

Non c’è alcun dubbio. Per Giorgia Meloni, la notte del 7 gennaio, la notte di san Luciano, sarà veramente difficile da dimenticare. Durante le ore notturne, infatti, ha seguito in tempo reale gli aggiornamenti provenienti dalla situation room allestita negli uffici dei Servizi segreti.

Poi, quando a inizio mattinata è finalmente decollato da Teheran l’aereo con a bordo Cecilia Sala, ha telefonato ai suoi genitori: “È libera, sta tornando in Italia”. Giorgia Meloni ha così confezionato il suo grandissimo successo politico-diplomatico della liberazione della giornalista. Un risultato raggiunto con non poche fibrillazioni. Ma alla fine è stata una scommessa personale vinta, e lo dimostrano i complimenti diretti alla premier dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Perché cruciale è stato il suo blitz in Florida, da dove è tornata – come ricostruisce anche il Wall Street Journal – con la rassicurazione che il nuovo presidente degli Usa Donald Trump avrebbe compreso un respingimento da parte italiana dell’estradizione di Mohammad Abedini Najafabadi.

Le due vicende sono apparse sin da subito intrecciate, al di là delle smentite ufficiali. E quella dell’ingegnere iraniano specializzato in droni – arrestato a Malpensa tre giorni prima di Sala, accusato dalla giustizia americana di cospirazione e supporto materiale al Corpo delle Guardie della rivoluzione islamica – appare destinata a evolversi senza l’estradizione.

L’accordo prevede che per il momento l’Italia non lo estradi negli Usa, riferiscono fonti di governo e di intelligence al Post, il sito per cui scrive il compagno di Sala, Daniele Raineri. Sono valutazioni ancora in corso a livello di esecutivo e, secondo alcune letture, l’epilogo potrebbe essere il rilascio di Abedini, anche se per ora né il ministro della Giustizia Carlo Nordio né altri suoi colleghi si sbilanciano.

D’altronde è stato il silenzio una delle chiavi della svolta, concretizzatasi prima dell’ultima notte di Sala nel carcere di Evin, quando la giornalista è stata spostata dall’isolamento a una cella in condivisione, ricevendo i due pacchi dell’ambasciata, da giorni ‘ostaggio’ del penitenziario, e la valigia che aveva lasciato in albergo il giorno dell’arresto. Poi ha potuto anche telefonare alla famiglia: tutti segnali di novità imminenti.

Era l’epilogo a cui puntava Meloni prendendo in mano la regia nel vertice di Palazzo Chigi giovedì scorso, quando il braccio di ferro con la Repubblica Islamica sembrava essersi irrigidito e i tempi per la soluzione allungati di molto.

A un certo punto, per usare le parole del papà di Sala, è diventata una partita a scacchi con “una scacchiera che si è affollata”. Qui è nata la decisione di volare sabato a Mar-a-Lago. Oltreoceano Meloni ha condotto le interlocuzioni con Trump, e con l’amministrazione uscente di Joe Biden (con cui avrà un ultimo bilaterale sabato a Roma), inquadrando la liberazione di Sala come un interesse nazionale. Il passaggio decisivo, si ragiona tra i fedelissimi della premier.

L’operazione è stata portata a termine in asse con il sottosegretario Alfredo Mantovano e il direttore dell’Aise Giovanni Caravelli, che ha trattato con l’Iran ed è volato a Teheran per riportare in Italia Sala. Alla fine la triangolazione Roma-Teheran-Washington ha evidentemente portato a un accordo funzionale a tutti, con una condivisione di informazioni. E ora c’è chi prospetta una nuova dimensione del rapporto con l’Iran, che nel 2017 aveva nell’Italia il primo partner commerciale dell’Ue, prima della contrazione per le sanzioni e la politica di protezione iraniana

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Giovanni Curzio
Giovanni Curzio
Giovanni Curzio, 21 anni, napoletano, studente alla facoltà di Giurisprudenza della Università degli Studi Suor Orsola Benincasa. Da sempre è appassionato di giornalismo sia di cronaca che sportivo. Collabora anche con agenzie di stampa ed emittenti radiofoniche e televisive della Campania.

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