È oramai un dato di fatto che l’ambientalismo esasperato ha stufato, in tutta Europa. I Verdi, veri perdenti delle ultime elezioni comunitarie, con le quali hanno visto dimezzare i propri consensi e, al contempo, anche i loro posti nell’Europarlamento, stanno continuando a perdere voti in ogni tornata elettorale. Alle ultime votazioni nei Land tedeschi, l’ascesa dei partiti di destra è stata accompagnata dall’ingente calo dei consensi dei Greens: simbolo di un’Europa che, giorno dopo giorno, sta chiaramente scegliendo di schierarsi a favore del pragmatismo, piuttosto che dalla parte dell’ideologia. Dopo, infatti, l’exploit della svedese Greta Thunberg e dei suoi Friday For Future che richiamavano migliaia di ragazzi nelle piazze di tutta Europa, soprattutto liceali contenti di allungare il proprio weekend lontano dalle aule scolastiche. Giusto per sminuire – come fanno anche quelli che incollano le proprie mani sull’asfalto delle grandi arterie o che imbrattano con vernice indelebile monumenti e opere d’arte – una causa che dovrebbe essere trattata diversamente, con maggiore serietà e minore ideologia. Giorgia Meloni, su questo, è sempre stata chiarissima: la transizione verde non può essere ideologica, ma deve piuttosto tenere presente le tante necessità dei cittadini. In pratica, non può esserci transizione se non si considera l’uomo, non può esserci transizione senza una natura fatta per l’uomo.
Astrattezza e derive
Le ultime elezioni in Austria confermano questo trend: gli elettori di tutta Europa si sono scocciati dell’astrattezza dei Verdi. Un’astrattezza che ha rischiato di mettere in difficoltà interi comparti dell’economia europea e anche nostrana. In primis l’agricoltura, con la folle volontà della Commissione europea uscente, e in particolare dell’ex commissario al Green Deal, l’olandese Frans Timmermans, di voler imporre pesanti vincoli all’agricoltura. Una strategia che, così, svilisce lo stesso ruolo del contadino, effettivo custode dell’ambiente, primo e vero garante della qualità dei prodotti, prima figura direttamente interessata alla fertilità dei campi e alla salubrità dell’aria. Le follie di alcune clausole, come quella del rimboschimento o della mancata coltivazione delle terre per un dato periodo, hanno reso impossibile continuare a votare per i partiti ecologisti.
L’apertura al pragmatismo
E anche l’Europa ora sembra rendersi conto di questa deriva. All’interno della nuova Commissione europea, pur avendo ottenuto l’appoggio dei Verdi, Ursula von der Leyen non ha affidato nessun dicastero ai Greens, facendo invece entrare nella sua squadra un conservatore, Raffaele Fitto, nonostante il voto in generale contrario alla Commissione di Ecr e in particolare di Fratelli d’Italia. Nei giorni scorsi, inoltre, la Germania, che pian piano si sta destando dal suo sogno iper-progressista (si pensi, ad esempio, al cambio di marcio sull’immigrazione), ha iniziato ad aprirsi al dialogo con l’Italia, seguendo il suo modello, in merito proprio alla questione ambientale, mettendo in dubbio l’efficacia e l’opportunità delle clausole imposte dall’Europa, considerando specialmente il loro gravoso impatto sulla nostra economia. Si parla soprattutto del divieto di produzione di motori endotermici a partire dal 2035: una scelta che già sta affossando interi comparti produttivi, come quello automobilistico. E sia l’Italia con Stellantis, sia la Germania con la Volkswagen, ne sanno qualcosa.
Transizione non ideologica
Vale la pena, dunque, ricordare le parole pronunciate da Giorgia Meloni pochi giorni fa, in occasione dell’assemblea generale di Confindustria: riprendendo le parole del presidente Orsini, “la decarbonizzazione inseguita al prezzo della deindustrializzazione – ha detto la premier – è una debacle. È così, ovviamente. Perché accompagnare il nostro tessuto produttivo nella sfida della transizione ecologica non può voler dire distruggere migliaia di posti di lavoro, smantellare interi segmenti industriali che producono ricchezza, che producono occupazione”. Questo perché “gli ambiziosi obiettivi ambientali dell’Europa devono essere accompagnati da investimenti e risorse adeguati, da un piano coerente per raggiungerli, altrimenti – ha concluso – è inevitabile che la transizione energetica e ambientale vadano a scapito della competitività e della crescita”.
Vorrei veramente che la questione ambientale fosse affrontata nei suoi termini scientifici, economici e storici e non da affaristi interessati, fanatici ideologici anti occidentali e ignoranti manipolati da personaggi interessati. Interessati non all’ambiente, beninteso, ma a disegni politici anti occidentali.
Temi del dibattito.
1. le fluttuazioni secolari del clima ci sono sempre state: ere fredde (le glaciazioni), ere calde (l’antartide ha avuto foreste!); il problema è come affrontarle, non cercare di invertirne il corso.
2. sicuramente l’industrializzazione contribuisce al riscaldamento globale, ma amche qui andiamo a vedere i fatti non le fandonie. Per esempio, miliardi di “grandi animali” – maiali, bovini, ovini – allevati ad esempio in Cina, il maggiore allevatore mondiale – producono più emissioni di tutte le automobili messe insieme. Si valuta che le emissioni delle automobili nelle città contribuiscano alle polveri sottili al massimo per un 5%. I maggiori inquinatori industriali, privi di ogni freno di legge all’inquinamento, sono Cina e India. E allora? Con chi ce la dobbiamo prendere?
3. La Terra non può sostenere dieci miliardi di persone. Almeno, lo potrebbe – forse, e a discapito di ogni altra specie vivente, adesso c’è perfino chi vuole mangiare gli insetti! – se vivessero come gli uomini delle caverne di centomila anni fa. Adesso ogni persona al mondo spera di vivere come il progresso scientifico, tecnico e culturale mostra che si può vivere, e cioè come nei paesi progrediti dell’occidente. E allora? Smettiamola con il “crescete e moltiplicatevi”. Siamo abbastanza. Nei paesi civili la natalità diminuisce drasticamente, perchè le persone capiscono che è più importante vivere bene, per sé e per i propri figli, che non generare dei disgraziati senza futuro.
4. Organizziamoci per fare fronte ai cambiamenti climatici, che nessun “fioretto” ecologista riuscirà a fermare. E’ una impresa enorme, perchè chiede di ripensare come costruiamo case, strade, corsi d’acqua, infrastrutture. Qui dobbiamo investire per difendere il nostro futuro, non in inutili sperperi di spesa corrente.
Con affetto
Alessandro