Il cognome liquido. La Consulta dichiara illegittima l’attribuzione automatica del cognome paterno. Il parricidio collettivo e la decostruzione della famiglia proseguono
di Bartimeo
Una giornata particolare. Il 27 aprile la Corte costituzionale ha dichiarato “illegittime tutte le norme che attribuiscono automaticamente il cognome del padre”. In attesa del deposito della sentenza e “nel solco del principio di eguaglianza e nell’interesse del figlio”, la Consulta ritiene che “entrambi i genitori devono poter condividere la scelta sul suo cognome, che costituisce elemento fondamentale dell’identità personale.”
“La Corte ha ritenuto discriminatoria e lesiva dell’identità del figlio la regola che attribuisce automaticamente il cognome del padre.”
Fermo restando che sarà compito del legislatore disciplinare la materia, la decisione introduce una nuova regola per la quale “il figlio assume il cognome di entrambi i genitori nell’ordine dai medesimi concordato, salvo che essi decidano, di comune accordo, di attribuire soltanto il cognome di uno dei due.”
Esultano le femministe della prima ora, le fanatiche istigatrici del “fallo a pezzi”, utopia ormai realizzata, anche a colpi di sentenze e referendum. Ma su due piedi, l’attribuzione non automatica del cognome paterno è già riconosciuta in molti ordinamenti giuridici, in Europa e nel mondo.
Nei Paesi scandinavi, come anche in Austria e in Danimarca, il cognome della madre è addirittura prevalente e alla nascita del figlio viene attribuito automaticamente dall’anagrafe.
Nel Regno Unito l’attribuzione del cognome ai figli è lasciata all’autonomia dei genitori investiti della “parental responsibility”. Al momento della registrazione della nascita, al figlio può essere attribuito il cognome del padre, della madre oppure di entrambi i genitori; ma è anche possibile l’assegnazione di un cognome diverso da quello dei genitori.
In Germania non si distingue nemmeno tra i figli nati dentro o al di fuori del matrimonio. I coniugi possono mantenere il proprio cognome o adottare un cognome coniugale e assegnarlo alla prole. Se i genitori non portano alcun cognome coniugale e la potestà spetta ad entrambi congiuntamente, ai figli viene assegnato il cognome del padre o della madre, previo accordo tra i genitori.
Anche in Francia l’attribuzione del cognome non è più collegata allo stato matrimoniale dei genitori, né esiste più la distinzione tra la madre e il padre. In caso di riconoscimento simultaneo del figlio, l’attribuzione viene decisa di comune accordo dai genitori che possono scegliere il cognome di uno o dell’altro o entrambi i nomi affiancati secondo l’ordine di loro scelta. I genitori devono presentare una dichiarazione congiunta davanti all’ufficiale di stato civile. In assenza di una dichiarazione congiunta il bambino prende il cognome del padre. In caso di riconoscimento successivo alla nascita del figlio, il bambino prende il cognome del genitore che lo riconosce per primo.
In Spagna la tradizione vuole che venga assegnato il famoso “doppio cognome”, prima quello del padre e dopo quello della madre. Anche se la legge non impone un ordine prestabilito, in caso di disaccordo tra i genitori, viene prima quello del padre.
Restando nella penisola iberica, anche in Portogallo vige la regola del doppio cognome, ma in ordine inverso: prima quello della madre e dopo quello del padre.
Negli Stati Uniti d’America la tradizione di prendere il cognome del padre risale al diritto consuetudinario inglese, noto come “couverture”, la vecchia dottrina che prevedeva la sospensione della personalità giuridica della donna al momento del suo matrimonio: diritti e obblighi erano riconosciuti al solo marito. Le cose cambiarono nel 1975, quando una sentenza della Corte Suprema stabilì che una donna sposata non ha obbligo di assumere il cognome del marito, né che i figli debbano automaticamente assumere il cognome paterno.
Insomma, un po’ ovunque dominano le giurisprudenze e le legislazioni del cognome libero, doppio, single o fai-da-te, un cognome liquido ormai, perché privo di ogni fondamento familiare.
In Italia, la questione ha una lunga storia politica. Si parte nel 1975 con l’abolizione della “patria potestà” e l’introduzione della responsabilità “genitoriale”, l’ibrido concettuale nel quale intingono il pane gli odierni genderisti, estinzionisti e postumanisti di ogni specie; arriva poi la legge 194, nel 1978, che sottrae al padre in disaccordo con la madre ogni facoltà per impedire che suo figlio possa essere abortito; e si prosegue oggi con l’ennesima diminutio: il padre perde il cognome, i suoi onori e i suoi oneri, e con questi svanisce anche l’ultimo sentimento dei doveri riproduttivi, familiari e sociali.
Insomma, parafrasando la celebre battuta di Ionesco: “Dio è morto, il padre pure, e anch’io non mi sento tanto bene.”