Siamo a Marbella, è un caldo pomeriggio di metà luglio. Nemmeno il tempo di celebrare la Spagna fresca Campione d’Europa, che già il calcio d’estate delle squadre di club comincia a scaldare i motori. A scendere in campo per quella che doveva essere poco più di una partitella d’allenamento – tant’è che non erano presenti nemmeno le telecamere – l’ambizioso Como di Cesc Fabregas e gli inglesi del Wolverhampton.
Qualche ora dopo la partita, apriti cielo: a rimbalzare sui network di mezzo mondo è la notizia di un presunto insulto razzista rivolto da un difensore lariano a Hwang Hee-chan, calciatore coreano dei Wolves, che già nell’estate del 2022 fu protagonista di un episodio analogo con i tifosi della squadra portoghese del Farense. In secondo piano, dopo i roboanti titoloni a nove colonne che sapevano già di condanna, l’unica notizia circostanziata dai fatti, ovvero che il suo compagno di squadra Daniel Podence abbia reagito tirando un cazzotto al calciatore del Como.
Ma come sono andate davvero le cose? In una nota ufficiale, Mirwan Suwarso, che è il rappresentante ufficiale del Como 1907, ha spiegato che «abbiamo parlato con il difensore in questione per capire cosa è stato detto. Egli ci ha riferito che il commento che ha fatto, rivolgendosi a un suo compagno di difesa, è stato: “Ignoralo, pensa di essere Jackie Chan”.
Avendo parlato a lungo con il nostro giocatore, siamo certi che si riferisse al suo nome e ai continui riferimenti a “Channy” fatti dai suoi compagni di squadra in campo. Per quanto riguarda il nostro club, il nostro giocatore non ha detto nulla di intenzionalmente denigratorio. Siamo delusi dal fatto che la reazione di alcuni giocatori del Wolves abbia visto l’incidente gonfiarsi a dismisura.»
Tutto finito? Nient’affatto: subito dopo la gara il Wolverhampton ha scritto all’Uefa, mentre un paio di giorni fa la Federcalcio della Corea del Sud ha presentato un reclamo ufficiale alla Fifa, parlando di “seri atti razzisti”. Fermiamoci un attimo a riflettere: chiamare qualcuno Jackie Chan, un’icona del cinema mondiale, è davvero un atto razzista? Questo episodio è il chiaro esempio di come la dittatura del politicamente corretto possa distorcere la realtà: non valuto un fatto in modo oggettivo, per quello che è, ma divido tutto tra bene e male assoluto.
Viviamo in tempi in cui questa vera e propria psico-dittatura detta legge, soffocando la libertà d’espressione e imponendo una visione distorta della realtà. Credo fermamente nella buona fede del calciatore del Como e diffido di questa inquisizione moderna che vede razzismo ovunque. In questo caso la vera minaccia, semmai, quella reale e tangibile, è la violenza fisica. La reazione violenta e immotivata di Podence, che ha risposto con un pugno a un commento sarcastico, dovrebbe essere il vero motivo di scandalo, eppure passa ipocritamente in secondo piano.
Siamo troppo occupati a inseguire le ombre del politicamente corretto per vedere la sostanza delle cose: io, ad esempio, per aver “osato” esprimere questa opinione sul mio account X, sotto il comunicato ufficiale del Calcio Como, ho ricevuto centinaia di insulti e minacce.
Attacchi che provengono perlopiù da account anonimi, gestiti – guarda caso – da soggetti radicalizzati di estrema sinistra, abituati a diffondere contenuti pro-Hamas e inneggianti ai fanatismi dell’ideologia woke.
È ironico come i paladini della tolleranza siano spesso i primi a scagliarsi con violenza verbale contro chi esprime opinioni divergenti.
Una vera e propria deriva che negli Stati Uniti ha raggiunto livelli impensabili fino a qualche anno fa, dando vita al propagarsi di fenomeni come la cancel culture, l’ideologia gender e il razzismo al contrario che hanno trasformato le scuole in veri e propri centri d’indottrinamento. Roba da far impallidire George Orwell.
Se continuiamo su questa strada, rischiamo di trasformare qualsiasi discussione in rissa: visto l’andazzo, non escludo che prima o poi qualcuno proporrà per legge la follia di rivolgerci al prossimo utilizzando l’asterisco finale per non discriminarlo nel caso egli non si senta né maschio né femmina, oppure di non fare riferimenti alla nazionalità, al colore dei capelli o degli occhi o perfino al nome e magari – perché no, tutto è possibile – nemmeno alla squadra per cui gioca.
In effetti, pensandoci bene, secondo la folle logica del principio dell’intersezionalità, dovremmo essere un amalgama di esseri neutri, senza identità né storia e – cosa più importante – incapaci di esprimere un’opinione nostra.
Peccato che gli aspetti che ci caratterizzano come popoli e singoli individui costituiscano il tratto distintivo capace di far sbocciare un amore, di ispirare un artista oppure di far esplodere il talento di un campione. Per rimanere nel mondo del calcio, vi immaginate un Maradona, un Baggio o un Platini ingabbiati in una simile logica inquisitoria? Impossibile.
In qualsiasi partita, da San Siro al campetto dell’oratorio, chiunque potrebbe sentirsi autorizzato a utilizzare la violenza per una parola considerata sbagliata. Si tratta di un principio folle anche dinnanzi a un insulto. Per capirci, se mi fai un brutto fallo io devo poter godere della libertà di reagire dandoti dello «stronzo» senza temere di essere accusato di razzismo nel caso in cui la tua pelle abbia un colore diverso dalla mia o di omofobia se non sei eterosessuale.
Vivaddio non è tutto bianco o nero, non in questo nostro mondo che – al netto di tutto il male di cui l’uomo si è reso protagonista nel corso dei secoli – è così dannatamente bello proprio perché imperfetto.