Dopo il funerale show di Beppe Grillo, continuano i codicilli delle schermaglie degli eredi ormai ex pentastellati. si preannunciano, infatti, tempi di dispetti da “parenti serpenti” che si affronteranno a colpi di avvocati e di pareri, di ricorsi e controricorsi, di sentenze che si perdono nel tempo ma che tornano buone nella speranza di farsi un dispetto.
L’altra mattina, il carro funebre è passato sotto gli occhi anche di quei tantissimi elettori che speravano che quella strana creatura potesse davvero rompere le incrostazioni e le relazioni che bloccano l’Italia: quel 33 e rotti per cento non chiedeva di rifare l’Italia ma almeno di disfare quella ingiusta, corrotta ed arrogante. Fatto sta comunque che non sarà Beppe Grillo a ricomporre sogni, così come non sarà Giuseppe Conte a rimettere in piedi un qualcosa che si è afflosciato.
Dietro il corteo funebre richiamato da Grillo ci sono piagnistei e opportunismi. E qualche voto che, offerto al miglior offerente, può generare ancora una rendita. Poca roba se si pensa che di malcontento ce n’è assai, che l’astensionismo non è solo quella piaga che straccia le vesti di politici e commentatori fintanto che non arrivano i risultati di chi a votare ci va ancora. Ecco, quando arrivano i dati dei seggi comandano quelli e tutto torna a girare su quei numeri. Anche se sono sicuramente palliducci.
Ma c’è anche l’altra lato della medaglia. Quanto potrebbe valere un partito di Beppe Grillo? E quanto uno di Giuseppe Conte? Se scissione sarà, quanto peso avranno le creature che sopravviveranno alla rottura tra Fondatore e Presidente? Le risposte non sono affatto scontate. Secondo Antonio Noto, direttore di Noto Sondaggi, un partito di Conte, con nome e simboli creati ex novo, rischierebbe di valere persino di più di un Movimento Cinque Stelle che mantiene nome, simbolo ma perde l’avvocato.
Conte, spiega Noto ha i suoi elettori che lo seguirebbero dappertutto. E un marchio Conte, oggi, vale di più del marchio M5S. Non solo: un partito dell’ex premier potrebbe essere persino più “espansivo”. “Potrebbe rubare voti a sinistra, mentre il M5S ha ormai esaurito la sua capacità di prendere in quella direzione”, Noto parte da una premessa: “Noi quotiamo il M5S al 13-14%. Questo è il consenso che potrebbe prendere alle elezioni politiche, che sono altro dalle altre elezioni”. Quell’ipotetico 14%, continua il sondaggista, “è diviso in due parti: una vota il M5S perché è guidato da Conte e perché, con lui, si è spostato a sinistra. Ed è la parte che vedrebbe in maniera positiva un’alleanza con il Pd”. Non si tratta, spiega ancora Noto, di elettori della prima ora. ”Sono sostenitori che si sono aggiunti in un secondo tempo e che vedono il M5S più che altro come un partito che può correggere la sinistra”. Questa parte è “legata indissolubilmente a Conte”. Poi, c’è il rimanente 7%, che è “il Movimento delle origini, legato alla base del Movimento, scettico rispetto all’alleanza con il Pd e al campo largo”. Sono quelli che, in linea con l’impronta data inizialmente da Grillo e da Gianroberto Casaleggio, “non si sentono né di destra, né di sinistra, su alcuni temi sono più vicini alla destra, su altri più alla sinistra”.
Più pessimista è la valutazione di Nicola Piepoli, fondatore dell’Istituto Piepoli, secondo cui, da una scissione, uscirebbero male entrambi e in parti uguali. “Le scissioni, come ci insegna la storia, porta a una diminuzione per entrambi: cala chi va via e cala chi resta. E’ una perdita di vitalità che pagherebbero tutti e due, così, del resto, dice la storia”. Chi peserebbe di più tra un partito di Conte e uno di Grillo? “Nessuno dei due. Ruoterebbero attorno alla stessa percentuale e si annullerebbero a vicenda”.