Intervento del Presidente Fabio Rampelli per la commemorazione in Aula di Paolo Borsellino e della sua scorta in occasione del 32^ anniversario dell’attentato a via D’Amelio

«La lotta alla mafia dev’essere innanzitutto un movimento culturale che abitui tutti a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità»
Colleghe e colleghi, ricorre oggi il 32° anniversario della strage di via D’Amelio, nella quale la mafia stroncò tragicamente la vita al giudice Paolo Borsellino e ai componenti della sua scorta, Agostino Catalano, Eddi Walter Cosina, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi, Claudio Traina. Dopo soli 57 giorni dall’attentato di Capaci, in cui fu ucciso Giovanni Falcone, insieme al quale persero la vita il giudice Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro ‘Cosa nostra’ portava un ulteriore attacco alle nostre istituzioni, colpendo un altro simbolo della lotta alla mafia.
Paolo Borsellino era un autentico servitore dello Stato: il suo coraggio, impegno e dedizione rappresentano un esempio altissimo d’integrità morale che rispecchia nel modo più nobile i valori della cittadinanza repubblicana sanciti dalla nostra Costituzione.
Ma ciò che appare forse ancor più importante richiamare, attraverso il ricordo della sua figura, sono il suo insegnamento e il suo esempio.
Questo insegnamento e questo esempio devono essere tenuti quotidianamente vivi, così come vivo deve essere nelle coscienze il ricordo di quella orribile strage.
Ciascuno di noi ricorda perfettamente quella stagione, l’arco temporale che separa l’attentato di Paolo Borsellino da quello del suo amico e collega Giovanni Falcone. Ciascuno di noi rammenta cosa stesse facendo quel giorno quando le prime immagini di via d’Amelio irruppero sugli schermi delle nostre case. Il dolore, lo sdegno, la consapevolezza di assistere al compimento di una profezia annunciata. La rabbia che ci portò a scendere in strada e manifestare la nostra ribellione contro un potere marcio che come una metastasi cercava di impossessarsi del corpo vivo della nostra Nazione e indusse tanti tra noi a scegliere la militanza politica come forma di riscatto di quella che allora era considerata la nostra ‘Povera Patria’.
Borsellino sapeva che la morte di Falcone rappresentava un’anticipazione di quello che a breve sarebbe accaduto a lui. Eppure non fuggì.
Continuò imperterrito a combattere contro la mafia e contro il sistema mafioso che si erano impadroniti di tante coscienze di uomini e donne della sua amata Sicilia.
Ma Borsellino, come Falcone, non indietreggiò. Perché? Le ragioni stanno nelle stesse parole che egli usò per commemorare neppure due mesi prima il suo collega. Nel corso della veglia per l’amico Giovanni a Palermo il 20 giugno 1992, disse, quasi scrivendo il suo stesso testamento morale: “Perché Giovanni non è fuggito perché ha accettato questa tremenda situazione; perché non si è turbato; perché è stato sempre pronto a rispondere a chiunque della speranza che era in lui? PER AMORE! La sua vita è stata un atto d’amore verso questa sua città, verso questa terra che lo ha generato”.
Queste sue parole restano incise nei nostri cuori e nelle nostre menti, sono il fuoco che ogni giorno ci spinge a rinnovellare l’amore per l’Italia, a diffondere tra i giovani l’eroismo della legalità, della strada giusta, del bene comune. Il rifiuto della scorciatoia, il rifiuto di quella rassegnazione che spesso induce tante, troppe persone a rinunciare all’impegno sociale e alla cittadinanza attiva. Il sacrificio di Paolo Borsellino con la straordinaria mobilitazione delle coscienze che ha determinato dimostra che questa sì, questa Patria sarebbe stata in grado di cambiare e sconfiggere la mafia.
Della forza di quello sgomento e di quella indignazione – come Paolo Borsellino insegnava – dobbiamo rendere partecipi anche le nuove generazioni, perché solo facendo sopravanzare il coraggio alla paura, e negando ogni consenso o ambiguità rispetto alla mafia, si riuscirà a estirparla. È proprio lui che ci ammonisce così:
“È bello morire per ciò in cui si crede, chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola”.
“La paura è umana, ma combattetela con il coraggio”.
Nell’esprimere la vicinanza e la solidarietà, mia personale e della Camera dei deputati, ai familiari delle vittime, invito l’Assemblea a osservare un minuto di silenzio.

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