“La cittadinanza è materia scivolosa. Non a caso se ne parla da anni: chiunque sia stato chiamato a guidare la nazione non ha voluto, o non è riuscito, a modificarla. La legge attuale dà risposte importanti: siamo la nazione che concede il maggior numero di nuove cittadinanze in Europa rispetto alle altre: 200mila nel 2023, in proiezione dieci milioni in 10 anni. Lo ius sanguinis può evolvere, non ci sono resistenze preconcette. Ma quali sono i punti di caduta di un’eventuale riforma della cittadinanza?
Qual è al contrario quella “mente illuminata” che vuole imporre la cittadinanza italiana per legge a un bambino nato in Italia da genitori stranieri? Chi ci autorizzerebbe, secondo lo ius soli, a imporre la nostra cittadinanza se quel bambino volesse essere legato alla nazionalità, alla cultura, alla tradizione dei propri genitori? La pretesa della superiorità tanto bistrattata?
La cittadinanza si deve desiderare e la si deve conquistare, non può essere un automatismo? A maggior ragione in un’epoca di flussi migratori eccezionali scaturiti da un messaggio sbagliato mandato dall’occidente al Terzo mondo. E infatti molti Stati stanno irrigidendo le norme e non ampliandole. Lo ius soli è una castroneria insomma.
Ha senso ragionare sulla cittadinanza al termine del percorso scolastico e sempre dopo averla richiesta.
Parlare di cittadinanza non è un tabù ma se ne deve parlare con equilibrio, non per strappare voti. Nel 1994, il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, in presenza di piccoli agglomerati di cittadini stranieri insediati in diverse periferie italiane e in scuole ghetto, decretò il principio dell’equa distribuzione per garantire equilibrio e quindi condizioni di vera inclusione culturale e sociale. Per arginare i piccoli Bronx che nascevano ai margini delle grandi città. È la mescolanza che crea dialogo, non l’uniformità, che al contrario genera odio e ostilità. Io voglio vedere il diverso, riconoscerlo e farmi conoscere. Così, se vado in un paese islamico, voglio vedere le mezze lune, senza per questo vedere vacillare la mia appartenenza alla mia confessione religiosa. Allo stesso tempo, non è togliendo i crocifissi o vietando i presepi che favoriamo l’integrazione degli immigrati di religione islamica. È il riconoscimento dell’identità dell’altro a generare il desiderio dello scambio. Discussione aperta, senza paraocchi, senza l’ossessione della propaganda e comunque ricordo che questo tema non è presente nel programma di legislatura del centrodestra, non essendo ritenuto una priorità”.
Così il Vicepresidente della Camera dei Deputati Fabio Rampelli, esponente di Fratelli d’Italia, intervenendo al 25° convegno di Parole Guerriere, “Ius Scholae: tempi nuovi per l’Italia?” presso la Sala della Regina.