Nel parallelo tra Elly Schlein e Kamala Harris, emergono caratteristiche sorprendenti che vanno ben oltre la semplice mancanza di leadership. Entrambe rappresentano, a modo loro, l’espressione più evidente di come la sinistra moderna abbia perso il contatto con le classi popolari e medie, abbracciando una visione elitista mascherata da progressismo. Questa disconnessione è al centro delle riflessioni di Luca Ricolfi, che nel suo studio sulla sinistra parla del cosiddetto “complesso dei migliori”, un atteggiamento arrogante che porta la sinistra a considerarsi non solo la parte migliore della società, ma anche la legittima proprietaria della democrazia.
E questo è esattamente ciò che vediamo in Schlein e Harris. Entrambe si presentano come paladine di giustizia sociale e inclusione, ma dietro questa facciata progressista si celano un vuoto di leadership e un’inconsistenza politica evidenti a chiunque sia minimamente oggettivo. Kamala Harris, vice presidente degli Stati Uniti, è diventata famosa per la sua incapacità di affrontare le crisi chiave, come quella dell’immigrazione. Anziché fornire soluzioni, si è limitata a seguire la corrente politica del momento, senza mai prendere una posizione chiara. Questa sua incapacità di comunicare una visione forte e di agire con decisione è stata evidente anche durante la campagna elettorale, dove non è riuscita a consolidare un consenso personale e ha finito per dipendere esclusivamente dalla figura di Joe Biden.
Dall’altra parte, Elly Schlein in Italia segue un percorso simile. Alla guida del Partito Democratico, Schlein si è dimostrata incapace di rappresentare una visione politica chiara e di proporre un piano concreto per le classi lavoratrici, che un tempo erano il fulcro della sinistra. Anziché difendere gli interessi dei cittadini più deboli, Schlein si è spinta verso un’agenda globalista, distante dai reali problemi del Paese. E questa agenda è sostenuta da un’ideologia woke che non fa altro che accentuare il distacco tra il Partito Democratico e i suoi elettori tradizionali. L’abbandono delle classi meno abbienti è stato evidente nel modo in cui Schlein ha promosso politiche che favoriscono le élite internazionali e le grandi multinazionali, a discapito delle piccole imprese e dei lavoratori comuni.
Questa deriva woke, che tanto Schlein quanto Harris hanno abbracciato, è una delle cause principali della loro debolezza politica. Harris, negli Stati Uniti, ha fatto leva sull’ideologia woke per fare carriera, ma questa scelta ha finito per ritorcersi contro di lei. Il suo continuo oscillare tra posizioni diverse, senza mai prendere una direzione netta, ha alienato una parte significativa dell’elettorato, che vede in lei una figura priva di coerenza e di coraggio politico. Schlein, invece, ha sposato completamente la retorica woke, dimenticando però che questa ideologia non rappresenta gli interessi delle classi popolari italiane. Anzi, la sua ossessione per il politicamente corretto ha finito per allontanare il Partito Democratico da molti dei suoi elettori tradizionali.
Il Professor Ricolfi descrive perfettamente questo fenomeno. Parla di una sinistra che, nella sua arroganza, ha smesso di ascoltare le esigenze reali dei cittadini, preferendo imporre una visione dall’alto che non tollera dissenso. E questo atteggiamento si riflette chiaramente sia in Harris che in Schlein. Entrambe non tollerano la diversità di opinioni. Harris ha sempre evitato di affrontare apertamente il dissenso all’interno del suo stesso partito, mantenendo una linea di comunicazione ambigua e sfuggente.
Schlein, invece, ha adottato un approccio ancora più diretto: chiunque non si allinei alla sua visione progressista viene etichettato e marginalizzato.
Ecco dove emerge la vera pericolosità di queste figure: il rifiuto del concetto di democrazia come pluralità di voci. Harris e Schlein incarnano un progressismo che non ammette opinioni diverse, che censura e marginalizza chiunque non condivida la loro visione. La loro adesione alla deriva woke ha portato a una politica autoritaria che silenzia le critiche e abbandona le classi sociali più deboli, lasciando campo libero alle multinazionali e alle élite globaliste. Il risultato? Una sinistra che, anziché rappresentare il popolo, si è trasformata in un’estensione del potere economico e culturale di pochi.
Paradosso nel paradosso: la tendenza a colmare il vuoto della loro proposta politica accusando continuamente gli avversari di fascismo. Non avendo argomenti concreti, scelgono di demonizzare chiunque non sia d’accordo con loro. Harris, addirittura, è arrivata pochi giorni fa a paragonare Trump a Hitler, una mossa disperata che dimostra quanto poco le rimanga da offrire in termini di visione o di soluzioni reali.
Ma se si guardassero allo specchio, potrebbero notare una verità scomoda: non sono i loro avversari a somigliare ai dittatori del passato, bensì loro stesse, che con la loro intolleranza verso il dissenso, la censura delle idee diverse e l’abbandono delle classi popolari, incarnano il modus operandi di uno dei tiranni più sanguinari della storia. Un certo Iosif Stalin, comunista.