Favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Falso in atto pubblico. Corruzione. Autoriciclaggio. 45 indagati. 36 arresti. Gli inquirenti parlano di “serialità, sistematicità e ripetitività delle condotte criminose”. Il tutto in circa sette anni di agire totalmente incontrastato. È stata scoperta una banda in Campania, che operava nel salernitano, specializzata negli affari illeciti intorno al click day, la giornata in cui venivano inviate le richieste per accedere legalmente sul nostro territorio tramite, di fatto, offerte di lavoro. Peccato che molte volte non esisteva nessun lavoro e, tramite canali sulla carta legali, extracomunitari entravano in Italia e diventavano così clandestini, alimentando un sistema fatto di mazzette e loschi guadagni che lucrava su una falla che, a quanto pare, nessuno ha mai notato prima. Serviva la mano di Giorgia Meloni che venti mesi fa si recò di persona nell’ufficio del procuratore nazionale antimafia per denunciare la stranissima discrepanza nei numeri, che riguardavano proprio la Campania. Ed ecco che, a mesi di distanza, viene fuori una banda che coinvolge, tra i tanti indagati, anche un membro del Pd.
Si tratta di Nicola Salvati, tesoriere del Pd in Campania, prontamente licenziato dal commissario regionale del partito, Antonio Misani. La frittata è fatta e Salvati risulta adesso tra gli indagati. Secondo gli inquirenti, il dem avrebbe ricoperto il ruolo di commercialista del gruppo, insieme a suo padre Giuseppe: il compito, ovviamente, era ripulire il denaro che veniva illecitamente guadagnato. Dalle indagini, l’uomo risulta anche cosciente dell’irregolarità delle sue azioni. Il sistema, in realtà, era molto più complesso: da Libero fanno sapere che i primissimi intermediari erano dei cittadini provenienti da Bangladesh e Pakistan, che obbligavano gli aspiranti migranti a versare la prima mazzetta per dare il la al sistema: ottenere il visto e un contratto di assunzione da parte dei datori di lavoro compiacenti, in terra nostrana, che facevano letteralmente carte false in cambio di denaro. Entravano in gioco poi gli ispettori del lavoro corrotti, che intervenivano in caso di controlli chiudendo un occhio. Infine i commercialisti, che riciclavano il denaro e lo ripulivano.
Nessuno se n’è mai accorto?
Dunque, non c’era alcun complotto dietro i timori fatti emergere da Giorgia Meloni: erano pochissimi, in Campania, gli immigrati che poi sottoscrivevano un vero contratto di lavoro, meno del 3% del totale. Un dato che faceva presagire qualcosa di chiaro: c’era un sistema che permetteva, tramite canali sulla carta legali, ingressi anche a chi non ne aveva diritto. Ingressi che diventavano dunque clandestini. Movimenti che lasciano presagire anche altro, probabilmente la mano delle organizzazioni criminali dietro un sistema ben oliato come questo. Ciò sarà accertato dagli inquirenti, ma il dato di fondo è ormai limpido: molte persone lucrano sugli ingressi irregolari, esiste un intero giro di denaro sporco guadagnato illecitamente a danno dello Stato e della sua sicurezza, ma anche a danno di quegli immigrati che spesso, pur collaborando con i malintenzionati, agiscono in buona fede, abbindolati da un sistema che assume molto frequentemente la forma di una vera e propria propaganda a favore della clandestinità. Il fatto che ci sia un uomo del Pd all’interno di tutto questo dovrebbe richiedere una presa di distanza netta da parte della segreteria nazionale del partito. Presa di distanza che al momento, come sempre succede sui temi più scottanti, manca. E la vera domanda è: in circa un decennio di attività di questa banda e di chissà quante altre, i governi di centrosinistra non hanno mai sentito puzza di bruciato? Serviva veramente Giorgia Meloni per svelare l’arcano?