Le elezioni regionali in Lombardia e Lazio, come si sa, sono andate benissimo per tutta la coalizione che ha l’onore e l’onere di guidare l’Italia, e in particolar modo per Fratelli d’Italia.
Si è votato in due regioni importanti e rappresentative, quindi, pur essendosi trattato di consultazioni amministrative, la riconferma di Attilio Fontana in Lombardia e la vittoria del neo governatore del Lazio Francesco Rocca, rafforzano inevitabilmente il Governo di Giorgia Meloni.
I risultati di queste elezioni dicono anzitutto che l’onda lunga meloniana non abbia perso un briciolo della propria forza e che il Paese continui a trovarsi in sintonia con l’azione quotidiana di Palazzo Chigi. Ma gli elettori lombardi e laziali, appartenenti alle due regioni più popolate d’Italia, hanno comunicato anche altro per il quale vale la pena fare qualche considerazione.
Anzitutto, l’alto tasso di astensionismo deve far preoccupare un po’ tutti, anche i vincitori, sebbene in questa tornata elettorale gli astenuti vadano ricercati soprattutto nella base del centrosinistra.
Però, chi ha votato ha detto con chiarezza di volere un Paese stabile in cui chi viene eletto per governare la nazione, possa godere della forza necessaria per fare ciò per un lasso di tempo ragionevole, ossia almeno cinque anni di legislatura.
Anche il più bravo, il più capace, il più diligente, e Giorgia Meloni sta dando prova di tali virtù, riconosciute persino da Enrico Letta e Stefano Bonaccini, non può fare grandi cose se viene “terremotato” dopo pochi mesi dall’insediamento. Gli elettori hanno scelto in maggioranza l’attuale equilibrio di Governo ed intendono assicurargli il tempo utile al fine di mettere in pratica, crisi internazionali permettendo, quanto enunciato in campagna elettorale e durante gli anni di opposizione.
Gli italiani sono nauseati dalle tante occasioni perse del passato, provocate da personalismi, sgambetti fra partiti, talvolta anche fra alleati, alleanze innaturali e governi caduti prematuramente, sostituiti poi da maggioranze posticce prive di un mandato popolare.
Se il bipartitismo all’americana è di difficile applicazione in Italia, perlomeno adesso e pure nel medio termine, si vuole che vi sia comunque una scelta di campo chiara fra due coalizioni alternative di partiti, e che ognuna di queste rispetti l’incarico conferitole dalle urne, sia esso di Governo o di opposizione.
Dopo l’ultimo esecutivo presieduto da Silvio Berlusconi una larga fetta della politica italiana ha cercato in tutti i modi di scardinare il bipolarismo, e in effetti, complice una democrazia parlamentare che consente certi giochi, i fautori delle maggioranze costruite a tavolino hanno raggiunto sovente i loro obiettivi, dai governi tecnici, quelli dei due Mario, Monti e Draghi, con quasi tutti dentro, ai governi “disinvolti”, cioè sprezzanti del parere degli italiani, quelli di Matteo Renzi e di Giuseppe Conte al suo secondo tentativo con il Partito Democratico.
Ma quando il corpo elettorale ha potuto dire la propria in cabina, esso ha sempre respinto i trucchi di Palazzo e le manovre al centro di quei settori politici che vorrebbero al governo del Paese soltanto delle grigie ammucchiate nelle quali un po’ tutti possano guadagnare qualche strapuntino e nessuno si assuma poi delle precise responsabilità di fronte alla nazione.
Tutti i tentativi di cosiddetto Terzo Polo sono naufragati rapidamente perché bocciati dagli elettori, e non ha fatto eccezione l’alleanza centrista di Carlo Calenda e Matteo Renzi, bastonata sia in Lombardia che nel Lazio. L’unica forza terza che, almeno in una consultazione, le Politiche del 2018, è riuscita a dare del filo da torcere sia alla destra che alla sinistra, è stato il Movimento 5 Stelle, ma ciò che interpretava allora il M5S era cosa ben diversa dalle nostalgie per la Balena bianca democristiana. Anche lo schieramento formato da Azione e Italia Viva, così come Scelta Civica creata attorno a Monti ed altri soggetti simili del recente passato, non è nemmeno stato in partita, e lo ha ammesso lo stesso Calenda in un raro momento di sincerità.
Le regionali in Lombardia e Lazio hanno certificato uno stato di salute pessimo di tutti i protagonisti del centrosinistra, dal Pd al M5S e fino a giungere, ovviamente, al centro di Calenda e Renzi. Quand’anche fossero stati tutti e tre insieme, in una sola coalizione, avrebbero comunque perso il confronto sia con Fontana che con Rocca.
Del resto, è naturale lo stato comatoso di tutto il centrosinistra. Dei centristi abbiamo già detto e in quanto ai 5 Stelle, essi pagano per essere diventati peggiori di coloro i quali contestavano solo nel 2018, non trent’anni fa. Il Partito Democratico, con tutti i suoi parolai rossi che imperversano nei talk-show e fanno la morale a tutti, e dopo essere stato al governo per quasi un decennio senza aver mai vinto una elezione, ha generato attorno a sé un sentimento diffuso di repulsione. Tuttavia, se il Pd fosse stato un poco più forte di com’è ora, la partita sarebbe stata fra Fratelli d’Italia e i suoi alleati, e il Partito Democratico con il resto del centrosinistra, senza spazi per terze alternative.
Il compito di Giorgia Meloni, di Fratelli d’Italia e della coalizione di Governo, è anche quello di tenere la barra dritta circa il bipolarismo e la democrazia dell’alternanza, impedendo quelle involuzioni che possono riportare in auge gli aspetti deteriori della Prima Repubblica. Il dovere è altresì di continuare a perorare la causa del presidenzialismo e della democrazia diretta, per dare finalmente agli italiani ciò a cui aspirano da troppo tempo, ovvero un pluralismo democratico stabile, efficiente e rispettoso del voto popolare.