In Europa qualcosa deve essere cambiato. E prima si cambia passo, meglio è. C’è bisogno di un nuovo piano, di un nuovo approccio, di una nuova strategia che permetta al continente di essere una potenza capace di competere con le altre potenze mondiali. Produzione e crescita economica di Stati Uniti, Cina, a breve anche India, ci stanno surclassando, ora che non possiamo contare su una crescita demografica. Il Piano Marshall di cui l’Europa necessita, secondo gli allarmi lanciati da Mario Draghi, vale circa 800 miliardi di euro, pari a circa il 4,7% del Pil dell’Ue nel 2023. “Per fare un paragone – ha detto l’ex premier italiano – gli investimenti del Piano Marshall nel periodo 1948-51 equivalevano all’1-2% del Pil dell’Ue”. È dunque emblematico che le problematiche dell’Unione vengano sottolineate proprio da un uomo come Mario Draghi, che certamente non può essere considerato un euroscettico. Servono investimenti decisi e ingenti su temi chiave per l’Europa: qualcosa, in passato, specie nel recente passato, ha fallito.
Moniti inascoltati
Ha fallito quell’accoppiata franco-tedesca che ha governato l’Europa, fatta di austerità verso gli Stati membri in difficoltà (si legga pure l’Italia, o anche la Grecia, nel decennio scorso) e di chiusure ideologiche sui grandi temi, come l’immigrazione. Quello di Mario Draghi non è l’unico cambio di passo registrato. Altri progressisti europei, convintamente schierati dalla parte dell’austerità, sembrano aver cambiato idea sul ruolo dell’Europa, che non può essere più considerata un gigante burocratico che si arricchisce ma resta immobile di fronte alle difficoltà. Nel concreto, il maggiore dietrofront registrato nelle ultime settimane è quello di Olaf Scholz, cancelliere tedesco messo alle strette non solo dalle opposizioni di destra e dai crescenti consensi a favore di AfD, ma specialmente dalla realtà dei fatti: dopo aver combattuto per anni le tesi anti-immigrazione, dopo aver criticato la posizione del governo italiano contro gli sbarchi illegali sulle nostre coste, ha scoperto che in Germania, e in generale in Europa, c’è un vero e serissimo problema di sicurezza legato ai rifugiati incontrollati e accolti indistintamente. Il socialismo, il progressismo, il perbenismo si risvegliano dal sogno utopico di un mondo perfetto e senza problemi. Ma la vera questione è che, ormai, il danno è già fatto, gli allarmi dei cittadini e delle destre sono rimasti inascoltati e bollati come atti di fascismo, di razzismo e di euroscetticismo. E soltanto adesso che il blocco franco-tedesco è in difficoltà, a Parigi e a Bruxelles si è capito che bisogna correre ai ripari e che non c’è più tempo da perdere.
Francia nei guai
Oltre a Scholz, sembra essersi destato anche Pierre Moscovici, ora presidente della Corte dei conti francese ma già commissario Ue agli Affari economici e monetari. I più attenti lo ricorderanno per la sua fermezza contro il debito italiano, con la sua forte austerità (non solo nella sua accezione economica) nei confronti della nostra Nazione affinché non superassimo i vincoli del rapporto debito/Pil. Ora, però, che anche la sua Francia è nei pasticci, in preda a un dissesto finanziario senza precedenti per Parigi, Moscovici si rivolge a Bruxelles con toni molto meno aspri, chiedendo di fatto una proroga, di un paio di anni, nel raggiungimento dell’obiettivo del 3% del detto rapporto. Anche lui scopre il segreto di Pulcinella: “Una cosa evidente – ha detto a Repubblica – è che l’Europa oggi ha problemi di competitività e che la sua crescita è troppo bassa”; come soluzione, propone un “investimento di denaro pubblico” che poco ha a che fare con le sue precedenti posizioni di austerità e di riduzione della spesa.
Un colosso dormiente
Il vero problema, dunque, è che l’Europa è stata per troppo tempo un colosso dormiente, un gigante di cartapesta dalle grandi potenzialità ma fermo immobile in posizioni del tutto errate. Come si fa a favorire la crescita senza investimenti? Una tesi che viola la stessa impostazione della Ue volta al liberismo economico e al rispetto dei principi cardine di prosperità, equità e democrazia, che rischiano così di essere violati. Per un primo pacchetto serio di investimenti, il Pnrr, è servita la pandemia, sono serviti migliaia di morti, è servito il blocco totale dell’economia e dei mercati per interi mesi. Servirà ancora un altro disastro per convincere Bruxelles a mobilitarsi e investire per l’Europa? Quante altre voci dovranno aggiungersi a quella di chi, dal suo scranno di capo del governo italiano, chiedeva già da tempo un’Europa diversa e più vicina ai problemi, seri e concreti, dei cittadini, venendo però bollata come fascista ed eversiva? Ora l’Unione si ritrova a fare i conti con la realtà. Ed è arrivato il momento: o si cambia rotta, o l’Europa si ritroverà sovrastata dalle altre potenze globali.