Il riconoscimento del buon lavoro fatto dal Governo Meloni in fatto di giustizia e di lotta alla mafia, arriva direttamente da una personalità che di criminalità organizzata ne sa qualcosa: Nicola Gratteri, oggi procuratore capo di Napoli ma con alle spalle una lunga stagione di contrasto alla ‘ndrangheta alle spalle. “Dal premier Giorgia Meloni è arrivato un segnale importante nella lotta alla mafia” ha detto il procuratore di Napoli al Giornale questa mattina in un’intervista.
L’impegno contro le mafie
Si legge nell’intervista tale “apertura di credito” verso Giorgia Meloni, che arriva anche dalle pagine del suo ultimo libro “Una Cosa sola”: “Non è stata toccata la legislazione antimafia, né l’ergastolo ostativo e il 41bis. Ed è stato un segnale importante”. I risultati effettivamente sono arrivati: dall’emblematico arresto di Matteo Messina Denaro fino all’importante crescita dei beni confiscati alle mafie, riconsegnati allo Stato e affidati a enti per progetti e finalità sociali: un aumento del +140% nel solo 2023, anche in virtù di una semplificazione delle procedure di assegnazione dei beni confiscati con l’assegnazione diretta di immobili alle realtà del Terzo settore. Wanda Ferro, sottosegretario al ministero dell’Interno con delega proprio per le materie di competenza dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, ha spiegato: “La destinazione dei beni confiscati per finalità sociali o istituzionali, come la realizzazione di presidi delle Forze dell’ordine, è un’attività cui la Premier Giorgia Meloni sta attribuendo grande rilevanza nell’ambito della strategia di contrasto alla criminalità organizzata, e ciò – ha detto ancora – si concretizza con importanti investimenti e il rafforzamento dell’Agenzia nazionale sia per quanto riguarda gli organici e la formazione del personale, che attraverso gli strumenti normativi e operativi”. Ma anche il lavoro in favore della polizia penitenziaria o ancora l’impegno svolto da Chiara Colosimo, presidente della commissione Antimafia, alla ricerca della verità sull’uccisione del magistrato Paolo Borsellino, che potrebbe avere ripercussioni anche sull’attualità.
Deve tornare il dialogo
Il procuratore Gratteri ha poi aggiunto un commento sull’attuale situazione politica del Paese, sullo scontro tra poteri che governo e magistratura con la seconda che vorrebbe avere il sopravvento sulla prima: “Non appartengo a nessuna corrente, ma ritengo che si debba riflettere sull’attuale momento politico. I poteri dello Stato devono rimanere separati e il dialogo dovrebbe tornare a caratterizzare il rapporto tra magistratura e politica. Lo scontro non fa bene a nessuno, né tantomeno ai magistrati che avrebbero dovuto fare ammenda e sciogliere il Csm dopo il caso Palamara per non essere accusati di autoconservazione”. Una critica dura, insomma, e un auspicio: si ritorni al dialogo tra le Istituzioni.
Il procuratore di Napoli ha anche criticato l’arretratezza delle nostre forze di Polizia in campo informatico, dopo i tanti casi di violazione della privacy e di dossieraggio scoppiati negli ultimi mesi: “Ovviamente, manca una cultura della sicurezza cibernetica. Non abbiamo investito in questo settore e ci troviamo di fronte a situazioni come quelle da lei descritte”, spiega al suo interlocutore. Un’arretratezza a cui bisogna rimediare: “Da anni sostengo che bisogna colmare il gap tecnologico con altre polizie e che bisogna alzare le barriere protettive. Ci sono domini strategici che sono a rischio, come ha messo in evidenza l’indagine coordinata dalla mia Procura sull’hacker che aveva violato il dominio del ministero della Giustizia”.
Infine Gratteri ha espresso una critica sull’abolizione dell’abuso d’ufficio (“non è facile capire la ratio”), mentre sul 416bis ha spiegato: “Eviterei di toccarlo, anche se andrebbe chiarita la definizione di forza di intimidazione del vincolo associativo, prevedendo il concetto di riserva di violenza che non sempre deve essere manifestata per dimostrare il metodo mafioso. Oggi le mafie hanno meno bisogno di usare la violenza, potendo contare su armi più efficaci come la corruzione, l’intimidazione e la reputazione criminale acquisita sul campo”.