L’università si fa moschea, le donne chiuse in recinto. E la sinistra elogia gli occupanti

Un’università che si trasforma in moschea. Una città culturalmente sotto assedio. Torino è sempre più teatro, al pari di altri atenei, come la Statale di Milano, di un percorso di islamizzazione vero e proprio. Islamizzazione che riguarda non solo gli studenti, nella ricerca di nuovi fedeli, ma che riguarda anche e soprattutto le Istituzioni, facendosi beffe di quel principio di laicità che la sinistra era sempre pronta a tirare in ballo quando la questione era il crocifisso nelle aule scolastiche. A ben vedere, ora quella laicità se la sono dimenticati: adesso è il tempo della tolleranza a prescindere verso tutti e tutto, anche verso evidenti manifestazioni di contrarietà alla laicità dello Stato. Un conto è la religione islamica, altra cosa è l’islamizzazione. E così, secoli di sapere scientifico, di studi umanistici, di lotte per superare il controllo ecclesiastico sul sapere, ora vengono messi a repentaglio dalle velleità “estremizzanti” di (pochi) soggetti che, partendo dalle proteste in favore della Palestina, sono arrivati a voler espandere il credo musulmano non più solo pacificamente. Certo, in Occidente non ammazzano in nome di Allah, ma prevaricano e occupano gli atenei. Immaginate se fossero stati dei cristiani a occupare un istituto in Arabia e celebrarvi una messa in nome di una nuova evangelizzazione.

Donne in recinto: Elly la femminista non parla

Dunque, l’università, tempio del sapere e della laicità, pur nel rispetto della maggioranza e delle minoranze, diventa una moschea. Fedeli e studenti di origine straniera che ne approfittano per inginocchiarsi e pregare Allah. Brahim Baya diventa il protagonista degli episodi, è l’imam che celebra, il capo della moschea Taiba in via Chivasso, importante personalità nell’ambito della comunità islamica torinese. Riserva agli occupanti un lungo sermone in cui solidarizza con la Palestina, inveisce contro Israele e inneggia alla jihad, la lotta santa dei musulmani combattuta con le armi in Oriente, con le occupazioni in Occidente. Il lungo sermone di Baya lascia interdetto il mondo femminista perché, come già successe e già denunciammo per la fine del Ramadan, le donne durante le preghiere vengono messe in disparte. Coperte da un velo, infatti, le donne non sono ritenute degne di sedere in moschea (in una stanza dell’ateneo adibita a moschea, in questo caso) accanto agli uomini e vengono messe da parte, rinchiuse in una rete quasi fosse un allevamento da cui non far scappare le bestie. L’imam in kefiah non rivolge loro neppure un sguardo. La denuncia di Paola Concia, l’attivista femminista del PD che, con un post su X, denuncia e scavalca la sua segretaria, Elly Schlein, che invece si è ben guardata dal fare commenti e dal prendere le distanze. Lei, sedicente femminista, non si indigna se le donne vengono stipate in un recinto: così vuole la cultura islamica, e questo basta come giustificazione.

C’è chi se li difende

La cosa grave è che, se da un lato i politici di destra hanno condannato i fatti, spiegando che trasformare un ateneo in una moschea è un grave attacco alle nostre radici e al nostro ordinamento statale, arrivando il ministro dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini a chiedere al questore e al rettore la sospensione delle attività, dall’altro lato la sinistra non ha reagito. Come se fosse tutto normale, come se inneggiare alla jihad in un ateneo fosse il più giusto svolgimento delle cose. Cosa ancora più grave è che, al silenzio in cui si è rintanato il PD, è poi seguita la gioia di Gian Giacomo Migone, fondatore del PDS che, intercettato da La Stampa, ha prima citato il principio di laicità parlando delle due “teocrazie” di Israele e Iran, per poi passare a rimproverare la Bernini, il rettore, il questore, per essere “accecati dal bisogno di condannare e vietare le funzioni di rito musulmano dell’imam Brahim Baya esprimendovi liberamente le sue convinzioni in sedi universitarie”. Ma non dice, Migone, che quelle sedi erano state occupate, non riservando neppure una parola alle donne recintate. La richiesta del ministro Bernini, poi, sarebbe soltanto un “diversivo atto ad oscurare sempre più ovvie inadempienze politiche, giustamente denunciate da una generazione di studenti mobilitati in tutto l’Occidente”. Studenti ideologicamente di parte, corroborati da infiltrati di centri sociali e collettivi mai iscritti alle università in cui combattono. Pochi ma rumorosi. Neo-comunisti che strizzano l’occhio all’islam militante. Il punto in comune? L’odio verso la nostra civiltà.

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