Malagola: “Con Meloni svolta epocale sul lavoro. Ma la sicurezza non è solo un dovere dello Stato, è una sfida collettiva”

Intervista al segretario della Commissione Lavoro della Camera, Lorenzo Malagola, alla vigilia del Primo Maggio: bilanci, riforme e verità sul salario minimo

Onorevole Malagola, la Premier Meloni ha parlato con orgoglio di oltre un milione di nuovi posti di lavoro in poco più di due anni. Le opposizioni rispondono con toni polemici, ma questi numeri segnano davvero un cambio di passo rispetto al passato?

Sì, questi numeri rappresentano un cambio di passo epocale. Non si tratta solo di una crescita quantitativa, che già di per sé sarebbe un messaggio importante, ma anche e soprattutto di un segnale di profonda fiducia nel sistema Paese. L’Italia sta tornando a essere attrattiva per chi vuole investire e assumere. I dati non arrivano per caso: sono il frutto di politiche economiche serie, che hanno ridotto il cuneo fiscale, incentivato la produttività e premiato chi assume con contratti a tempo indeterminato. È comprensibile che le opposizioni provino a sminuire, ma è difficile negare che con il Governo Meloni l’occupazione stia crescendo a ritmi che non si vedevano da tempo.

Lasciamo parlare i numeri dell’Istat: a gennaio 2025 abbiamo raggiunto i 24,2 milioni di occupati e superato il 50% di occupazione femminile — entrambi record nella storia repubblicana — con un tasso di disoccupazione che si è assestato al 6,3%, ai minimi da ben 18 anni, e una crescita dei salari superiore alla media europea, invertendo un trend negativo che ci penalizzava da troppi anni.

Nonostante il rafforzamento degli ispettorati, il tema della sicurezza sul lavoro resta drammaticamente attuale. Cosa ancora non funziona e quali sono le misure che davvero possono cambiare le cose?

Nell’ultimo Consiglio dei Ministri il Governo ha annunciato nuovi investimenti per 650 milioni di euro, che si aggiungono ai 600 milioni già disponibili tramite i bandi INAIL destinati alla sicurezza nei luoghi di lavoro. Queste risorse finanziano interventi nel campo della prevenzione, della formazione e dei controlli, con particolare attenzione a settori a rischio come quello agricolo.

Non dimentichiamo poi le 1600 assunzioni di ispettori del lavoro che sono state fatte dall’insediamento del Governo e la “patente a crediti” nel campo dell’edilizia, per premiare le aziende virtuose e penalizzare quelle che contravvengono alle norme vigenti. Si tratta di un salto in avanti importantissimo, che vuole riportare la sicurezza sul lavoro al centro delle priorità di tutti.

La Presidente Meloni ha proposto una “alleanza per la sicurezza” con sindacati, datori di lavoro e istituzioni. È un’utopia o finalmente si apre una stagione nuova anche sul piano culturale, oltre che normativo?

Certo serve anche una svolta culturale, oltre che normativa. La sicurezza sul lavoro non può essere delegata solo allo Stato o alle aziende: è una responsabilità collettiva. L’“alleanza per la sicurezza” è il segno di un approccio maturo, che chiama in causa tutti: istituzioni, imprese, sindacati, scuola.

E proprio la scuola è un terreno fondamentale: educare alla cultura della sicurezza fin da giovani è il primo passo per un cambiamento duraturo. Per questo vogliamo anche rendere strutturale la copertura assicurativa INAIL per docenti e studenti. Non dimentichiamo poi il contributo che l’intelligenza artificiale potrà dare nella prevenzione dei rischi legati al lavoro: arriveranno grandi innovazioni tecnologiche che potranno diminuire infortuni e morti bianche. Non è utopia: è un nuovo inizio che possiamo e dobbiamo realizzare insieme.

Sul tema del lavoro povero, il centrosinistra rilancia ciclicamente l’idea del salario minimo per legge. Perché, secondo voi, questa misura è sbagliata e quale invece la strada giusta per garantire retribuzioni più dignitose?

Il salario minimo per legge è una soluzione ideologica e semplicistica che non risponde al problema del lavoro povero. In una realtà come quella italiana, con un’alta contrattazione sindacale, il salario minimo indebolirebbe la contrattazione collettiva e abbasserebbe, paradossalmente, molte retribuzioni oggi superiori. Sarebbe poi una sciagurata intrusione dello Stato, che bloccherebbe la reale crescita retributiva e renderebbe ostici i rinnovi contrattuali: l’unico vero risultato sarebbe, insomma, di vedere tutti i salari schiacciati al ribasso.

Noi diciamo basta a misure assistenzialistiche come salario minimo legale e reddito di cittadinanza, tanto amate dalla sinistra, che creano, soprattutto nei giovani, una cultura di passiva dipendenza dall’assistenza pubblica, contraddicendo l’orizzonte di senso del lavoro, che chiama a spirito di iniziativa, creatività e responsabilità.

La vera sfida è tutt’altra: dobbiamo operare per rafforzare i contratti collettivi esistenti, vigilando che vengano applicati in modo corretto a tutti i lavoratori. Ma soprattutto, serve continuare ad aumentare la produttività attraverso la defiscalizzazione della parte variabile degli stipendi come i premi di produttività, il welfare aziendale e gli straordinari. Solo così si generano le condizioni per salari più alti. Noi lavoriamo per un’economia che cresce e include, non per soluzioni di facciata che non affrontano le cause profonde della precarietà.

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Ulderico de Laurentiis
Ulderico de Laurentiishttp://www.uldericodelaurentiis.it
Direttore Responsabile de "La Voce del Patriota".

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