Manovra, meno tasse per il ceto medio: vicino l’obiettivo del Governo

“In materie di imposte viene reso strutturale il passaggio da quattro a tre aliquote Irpef, con l’accorpamento dei primi due scaglioni di reddito. È chiaramente intenzione del Governo intervenire anche sullo scaglione di reddito successivo, questo dipenderò ovviamente dalle risorse che avremo a disposizione e che arriveranno anche alla chiusura del concordato preventivo”. Sono le parole pronunciate da Giorgia Meloni nella riunione durata sei ore con le forze sindacali in merito alla legge di Bilancio varata dal Consiglio dei Ministri e ora in discussione presso le commissioni parlamentari. Il Presidente del Consiglio ha dunque esplicitamente aperto alla possibilità che avvenga proprio ciò di cui esponenti della maggioranza e della sua compagine governativa – su tutti il viceministro dell’Economia e delle Finanze, Maurizio Leo – discutono da tempo: una riduzione del cuneo fiscale e contributivo anche per il cosiddetto ceto medio. Quella classe sociale, se così può essere definita, troppo poco spesso presa in considerazione negli anni precedenti. La manovra approvata dall’esecutivo conferma la riduzione per i redditi fino a 35mila euro, ma chi guadagna 50mila, ma anche 60mila euro all’anno, non può certo definirsi ricco. La riforma allo studio riguarderebbe una riduzione dell’aliquota Irpef da 35 al 33%, mentre lo scaglione andrebbe ad alzarsi da 50mila a 60mila euro di reddito annui. In sostanza, la misura dovrebbe costare 2,5 miliardi. Ed è, come annunciato da Giorgia Meloni, caccia ai fondi.

Risparmi fino al 600 euro

Certamente la strategia sarà quella già applicata negli anni scorsi: le tasse non aumenteranno, non ci sarà nessuna ulteriore gabella, nessuna sorpresa dell’ultimo minuto da far pesare sui cittadini. Per il terzo anno consecutivo il Governo Meloni è riuscito, pur in contesto complicato, un debito elevato e clausole europee molto stringenti, a mantenere attiva questa linea, malgrado Cgil e Uil si apprestano di nuovo a protestare contro l’esecutivo e la sua manovra, indicendo lo sciopero generale fissato per il 29 novembre già prima dell’audizione con la premier. I fondi su cui il Governo potrebbe puntare per attuare una nuova riforma Irpef sono quelli derivanti dal concordato preventivo biennale, a cui ha aderito circa mezzo milione di partite Iva e che ha già raccolto quasi un miliardo e mezzo di euro. Risorse che ancora non basterebbero, secondo i conti degli esperti, a coprire le spese per la misura ideata dall’esecutivo, ma che comunque potrebbero comportare un beneficio tutt’altro che indifferente sul ceto medio: con le risorse fin qui raccolte, infatti, ci sarebbe ampio spazio di manovra per abbassare di un solo punto percentuale l’aliquota Irpef, in modo tale da comportare un risparmio che oscilla tra i 130 euro e i 500 euro. Ad alimentare le speranze c’è proprio il prolungamento del termine del concordato biennale fino, si ipotizza, fino a dicembre. Ci sarebbe infatti modo e tempo per ottenere maggiori risorse e favorire il taglio di due punti percentuali, che comporterebbe risparmi dai 250 ai 600 euro, mentre per i pensionati fino a 450 euro.

E mentre il Governo lavora chiaramente su questa scia, fermo restando il taglio del cuneo per i ceti medio-bassi (del 7% per i redditi fino a 25mila euro e del 6% per i redditi fino a 35mila euro), appare surreale la continua protesta di sinistra e (alcune) sigle sindacali. Il diritto allo sciopero è sacrosanto, ma quando la protesta ha poco o per nulla senso, questi perde valore e assume le sembianze di una contestazione a priori, priva di contenuti.

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Redazione
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La Redazione de La Voce del Patriota

2 Commenti

  1. Sì, va bene, quattro spiccioli in più nelle tasche di qualcuno.
    Un taglio serio delle tasse, auspicabile in un Paese di persone libere, che possano essere artefici della propia vita, richiede un taglio serio della spesa.
    Dobbiamo uscire dalla spirale collettivista delle tasse e spese pubbliche.
    Ma intanto pongo un tema anch’esse molto serio: occorre rendere il rapporto tra fisco e cittadino PARITARIO.
    Oggi non è così, in modo abnorme.
    Il fisco fa accertamenti presuntivi, e il cittadino deve dimostrare che quanto il fisco afferma non è vero. Ma siamo in uno Stato di diritto?
    L’accusa deve provare il delitto, non il cittadino dimostrare che non è colpevole di qualcosa che di solito nemmeno conosce.
    Quindi, primo punto: abolire ogni forma di accertamento presuntivo. LAgenzia delle entrate ha circa 32.000 dipendenti, poi ci sono circa 70.000 agenti di guardia di finanza: che lavorino, altro che chiedere nuovi organici.
    Secondo punto: abolire ogni forma di tassazione di redditi non guadagnati.
    Il reddito si misura su base annua, quando l’anno è terminato. Che cosa altro è, se non un furto su redditi non prodotti, l’acconto di imposta in vista di future dichiarazioni e accertamenti?
    Terzo punto: abolire ogni forma di tassazione su redditi figurativi, cioè inesistenti.
    Perchè mai ad esempio un immobile inutilizzato – non abitato, non affittato, non in gestione ad una azienda attiva – deve essere imponibile? Imponibile di cosa, se non genera reddito? Ma l’immobile si rivaluta nel tempo, si potrebbe dire. Tante volte anche si svaluta. Quando sarà realizzata l’eventuale plusvalenza il fisco potrà individuare il reddito e tassarlo, non prima.
    Andiamo avanti sulle imposte indirette? In che modo l’IVA rappresenta la “capacità contributiva” (art. 53 della Costituzione)?
    Per tacere del divieto costituzionale di referendum per le leggi tributarie. Se gli elettori vogliono abrogare una imposta, si assumano le relative conseguenza di abolizione degli eventuali servizi finanziati. Il popolo è sovrano, o almeno dovrebbe esserlo, non può volere servizi e farli pagare ad altri.
    Quindi, carissimi Giorgia e collaboratori, Girgetti e Leo, non stiamo a girare intorno ai problemi.
    Non vendiamo per grano la crusca.
    Ci decidiamo a costruire un rapporto paritario tra contribuenti e fisco?

    Con affetto

    Alessandro

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