Tomaso Montanari è tornato a fare polemica contro il governo. Il rettore dell’Università per stranieri di Siena doveva riprendersi dalla figuraccia da lui stesso fatta questa estate, quando ha iniziato a lamentarsi degli immigrati che all’interno dell’ateneo creavano qualche problema di disturbo alla quiete degli altri studenti. Lui, paladino di chi sbarca in Italia in modo illegale, strenuo difensore dei diritti degli immigrati clandestini, uno tra gli accademici più adirati contro il governo, tra i più alti rappresentanti del mondo progressista, ridotto, costretto a lamentarsi dei suoi pupilli all’interno dell’ateneo. Il rettore ha infatti denunciato “l’utilizzo scorretto da parte dei rifugiati pachistani degli spazi della mensa universitaria messi a disposizione per la partecipazione ai corsi di lingua italiana”, con un problema che si è allargato al di là del semplice uso improprio dei servizi, arrivando a contemplare anche “comportamenti indecorosi nei confronti di studenti e studentesse”. Questa resa all’evidenza e al buon senso è stata, per troppo tempo, l’ultima notizia con cui Montanari si è fatto vivo sulla stampa. C’era, insomma, una reputazione da recuperare per non essere confuso con un qualunque elettore di destra.
Italia “vecchia bagascia”
Allora Montanari, con un colpo di coda che solo i grandi campioni hanno, ha riconquistato la sua fama di acerrimo avversario del Governo Meloni, rientrando a pieno in quella schiera di incalliti e ossessionati antifascisti che vedono totalitarismo ovunque. Il Fatto quotidiano ha infatti pubblicato un suo articolo dal titolo “A Osaka con il ciclope e un fascio-rock”. La discussione, il problema creato da Montanari, ruota intorno all’Expo 2025, che si terrà nella città giapponese dal 13 aprile al 13 ottobre. Il rettore, in merito, ha incolpato il Governo Meloni di spedire “nientemeno che l’Atlante Farnese, la celeberrima scultura di marmo del II secolo dopo Cristo – alta circa due metri e pesante oltre venti quintali – esposta al Museo Archeologico Nazionale di Napoli”. Una scultura, dunque, di epoca ellenica, che mostra al mondo la sapienza degli scultori del nostro passato, e ritraente il mito del Titano Atlante, costretto a portare sulle sue spalle il peso del globo come punizione divina imposta da Zeus; un modo anche per rappresentare l’incontro tra culture. Ma per Montanari, oltre a quello del trasporto di un’opera così grande (“spedire un marmo così grande, pesante e articolato – ha scritto – è un folle azzardo”), il problema maggiore è la scelta stessa dell’opera, troppo vecchia per il rettore: “È possibile che l’Italia continui a rappresentare se stessa come una vecchia bagascia esausta che ogni volta che viene invitata in società sfoggia i sontuosi gioielli di quando era giovane e bella? Ma questi signori non potrebbe guardare all’Italia artistica di oggi?”. Allora sì, gettiamo via secoli di grandezza e di sapienza, smettiamo di celebrare la nostra grande bellezza per fare ciò che Montanari vuole.
La figuraccia, il dietrofront
Il rettore, poi, riesce a contraddirsi in pochissime righe. Perché, dal non volere più un’Italia rinchiusa nel suo passato, Montanari attualizza tenebre del passato: è lui stesso, dunque, incatenato in fatti già accaduti. Per lui il pericolo fascista adesso si sostanzia nella figura di Mario Vattani, commissario generale per l’Italia a Expo 2025, definito “mitico cantante fascio-rock”, reo di essere salito sul palco di un concerto di CasaPound. “Chi meglio di lui – scrive Montanari – può rappresentare nel mondo il primo governo guidato da un partito di matrice fascista della storia della Repubblica?”. Ma alcune precisazioni sono d’obbligo, perché a nominare Vattani ambasciatore a Singapore fu il Governo Draghi e la Farnesina di Luigi Di Maio. Dal Parlamento ci furono eco di interventi a suo favore, provenienti dai banchi della sinistra, essendo reputato “uno dei funzionari diplomatici più preparati sulle tematiche dell’Estremo Oriente”. Nessuno ha dubitato della professionalità di Vattani, insomma, fino a quando non è salito in carica un governo di destra: da quel momento, ipocrita dietrofront su tutto, anche rimangiandosi parole pronunciate solo poche settimane prima.