Mancano meno di 48 ore alla chiusura del 2024 ed è quindi possibile raggruppare un po’ di dati e fare un bilancio finale sui 366 giorni (anno bisestile) vissuti. E possiamo concludere che questo 2024 è stato un anno roseo per gli scioperi e per i sindacati più politicizzati, i quali sono stati prontissimi a proclamarne di nuovi letteralmente all’ordine del giorno. Non passava quasi ora senza che non si parlasse di sciopero: secondo i dati del Garante, gli scioperi indetti sono stati 1603, di cui 981 revocati. Dunque, quelli che si sono realmente svolti sono stati 622. Seicentoventidue. Facile fare la media: è più di uno sciopero e mezzo al giorno, ergo tre scioperi ogni due giorni (e qualche decimale in eccesso). È record, un ritorno ai livelli pre-pandemici. D’altronde, tutto sta tornando alla normalità, l’economia sta raggiungendo di nuovo cifre sconosciute da circa 15 anni in alcuni settori (tipo l’occupazione…) e giustamente i sindacati non vogliono essere da meno.
Scioperi… politici
E non ci sarebbe alcun problema nell’esercitare il sacrosanto diritto alla sciopero, se non fosse che spesso, durante l’anno, le battaglie sindacali hanno assunto i connotati di una vera e propria battaglia politica: dunque, il più delle volte alla base delle indizioni non c’erano soltanto motivazioni legate al mondo del lavoro (che, a dire il vero, spesso mancavano totalmente), ma anche e soprattutto la voglia di incolpare il governo su altri temi. I sindacati sono scesi in piazza, ad esempio, contro il ddl Sicurezza e a favore dei migranti. Materie che sono lontanissime dalle rivendicazioni dei lavoratori. E come potrebbe essere altrimenti, d’altronde, se dall’altra parte c’è un governo che ha fatto crescere i lavoratori di più di 800mila unità nel giro di due anni, ha stabilizzato la maggior parte di questi contratti, sta lottando affinché venga corrisposto un salario giusto prevendendo, ad esempio, la strutturalità nella legge di bilancio di misure quali il taglio del cuneo fiscale e contributivo e la riforma dell’Irpef, che comportano un risparmio in busta paga per i redditi più bassi di circa 100 euro al mese. E se qualcuno dirà che è troppo poco, basta vedere quanto fatto con i governi precedenti: ora il taglio è strutturale e arriva al 7%, quando a Palazzo Chigi c’era Draghi il taglio fu una tantum ed equivaleva a un più basso 2%. Ma allora Landini e l’ex capo della Bce andavano a braccetto e gli scioperi si potevano contare quasi sul palmo di una mano.
Il 2025 inizia nel peggiore dei modi
I tempi cambiano e ora al governo c’è la destra. Destra che va combattuta con ogni mezzo, anche con la “rivolta sociale”, terminologia rivendicata e mai rinnegata dal segretario generale della Cgil. Destra che, per fortuna, pur rispettando al massimo il diritto allo sciopero, ha saputo limitare i danni quando serviva, ad esempio il 29 novembre scorso, quando una precettazione limitò lo sciopero generale soltanto al mattino evitando che cittadini e pendolari rimanessero bloccati in un altro venerdì nero per i trasporti. Perché – casualità! – il giorno prediletto dai sindacati è quello che permette di godersi un bel weekend lungo, mentre il resto dei lavoratori è costretto a sgobbare tra i disagi. Il 2024 si porta a casa un altro record: il primo sciopero dei trasporti di 24 ore senza fasce di garanzia da venti anni. E il 2025, dal canto suo, sembra promettere bene: sono già 45 gli scioperi previsti a gennaio. Attenzione al giorno 10, il primo di tanti altri venerdì neri dell’anno che ancora deve venire.
Basta con questa logica della triplice che oramai non rappresenta più la gran parte dei lavoratori: in piazza portano studenti e pensionati! La gente che lavora non sta sicuramente dalla loro parte.
Caro Andrea, che il diritto di sciopero sia “sacrosanto” può essere solo una forma di ironia, come, conoscendo la tua sensibilità, sicuramente hai voluto esprimere, perchè non c’è proprio niente di sacro e di santo nel fatto che individui che hanno sottoscritto un contratto si sentano in diritto di trasgredire gli obblighi sottoscritti, che sono quelli di lavorare nei tempi e nei modi che il contratto sottoscritto stabilisce, senza patirne le conseguenze contrattuali, cioè la rescissione del contratto stesso ed il licenziamento.
Per di più tale violazione delle clausole contrattuali è fatta spesso in nome di opinioni politiche che niente hanno a che fare con il rapporto di lavoro e tantomeno con l’azienda per cui il soggetto dovrebbe lavorare e con i clienti della stessa azienda.
L’articolo 40 della Costituzione, “Diritto di sciopero” stabilisce che “Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano”.
Tali leggi ad oggi sono costituite dagli articoli da 502 a 512 del codice penale, e prevedono sanzioni pecuniarie e pene detentive.
A parte l’insufficienza delle misure indicate dagli articoli sopra citati, peraltro generalmente disattese, sarebbe ora di intervenire più efficaciemente sulla regolazione dello sciopero, che resta un comportamento civilmente illecito, in quanto violazione di obblighi contrattuali, spesso associato a comportamenti violenti e prevericatori dei diritti altrui, aventi un severo profilo penale.
Si applichino intanto le prescrizioni della legge vigente, e si ponga mano ad una legislazione maggiormente restrittiva di comportamenti civilmente e penalmente illeciti.
Con affetto
Alessandro