Nel ricordo di Acca Larentia, la speranza di una nuova primavera a destra

In tanti, ed io tra questi, considerano tutto ciò che accadde tra il 7 ed il 10 gennaio 1978 lo spartiacque nella storia di passione e militanza che ha caratterizzato la comunità politica della Destra in Italia.

Quel maledetto pomeriggio, intorno alle 18,20, un commando dei Nuclei armati per il contropotere territoriale attacca armi in pugno cinque militanti del Fronte della Gioventù mentre escono dalla sezione Msi Appio Tuscolano, in via Acca Larentia, per recarsi al Teatro Centrale dove era programmato un concerto di musica alternativa degli Amici del Vento.

Restano al suolo Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta. Il primo, colpito alla testa, muore subito, l’altro, dopo aver tentato un’inutile fuga, in ospedale. Un altro militante, Stefano Recchioni, muore (dopo due giorni di agonia), ucciso da un proiettile che lo centra in piena fronte sparato da un ufficiale dei carabinieri durante gli scontri che seguirono il giorno dopo agli eccidi.

Gli anni ‘70, nei quali frequenti erano gli scontri tra giovani di destra e di sinistra, erano vissuti, in particolar modo nel nostro mondo, con la sindrome dell’accerchiamento e del “soli contro tutti” e, nonostante Bigonzetti, Ciavatta e Recchioni non fossero i primi camerati caduti, per la prima volta, però, gli assassini non provenivano solo dalle fila comunista ma anche da quelle forze di polizia che nel MSI, in particolare dal gruppo dirigente, venivano considerati i “corpi sani dello Stato”.

La circostanza che ci rendevano vittime dello Stato da una parte e dei “rossi” dall’altra, acuì nelle nostre fila, la sensazione dell’isolamento politico e culturale e giungeva proprio nel momento in cui il nostro modo di fare politica stava cambiando radicalmente pelle. Non eravamo più i fascisti pariolini o sanbabilini, con stivali a punta, giacca di pelle e ray-ban per occhiali espressione di una borghesia annoiata, ma i fascisti poveri che facevano militanza nei quartieri del disagio e che aggregavano proprio nelle fasce del bisogno.

La lotta armata cominciò proprio dopo i fatti di Acca Larentia. Quel giorno crollarono certezze e speranze. Per noi che vivevamo nella riserva indiana delimitata dall’arco costituzionale ora sentivamo di essere espulsi dal mondo. Da quel momento in poi il possesso delle armi non fu più episodico ma si diffuse ovunque nel paese. Quel periodo, vissuto così intensamente, rallentarono il processo rivoluzionario del modo di fare politica tra i giovani di Destra avviato con i Campo Hobbit e il dibattito si spostò sulla necessità o meno di impugnare le pistole e darsi alla macchia.

Molti scelsero la lotta armata stanchi di essere considerati il braccio armato dello Stato e sempre più insofferenti nei confronti della classe dirigente del MSI accusata di sfruttare per fini elettorali il sangue dei giovani camerati caduti ma che è sorda rispetto a tutte le istanze di cambiamento provenienti dal mondo giovanile in nome di una difesa generalizzata dell’ordine borghese.

Acca Larentia e la sua tragedia fu dunque un punto di svolta per la nascita di gruppi armati di destra ad opera di alcune frange che fanno il salto nella logica di porre un argine al massacro che aveva riguardato i tanti camerati caduti in quegli anni e senza un preciso progetto politico e per questo si parlerà di spontaneismo armato.
Le loro azioni andarono avanti per alcuni anni ma non riuscirono a dare una dignità politica a questi movimenti che andasse oltre l’iniziativa isolata non riconducibile ad una unica logica, il fenomeno si spense per consunzione. Resta però l’amaro in bocca per un partito, il MSI, che mostrò una sostanziale incapacità a comprendere questi fenomeni e che mantenne sempre atteggiamenti istituzionali anche quando c’erano i margini per un recupero alla lotta politica non violenta dei tanti che fecero una scelta diversa.

Dopo tanti anni resta l’amarezza per aver dovuto vedere tanti Cuori Neri cadere per una idea che è servita soprattutto per costruire carriere politiche di soggetti che hanno poi tradito l’idea stessa, l’azione e la sfida, il giuramento che ha portato i nostri martiri a pagare di persona interpretando la lotta come ragion di vita.

Oggi ci restano solo Il “presente” in ricordo dei tre Camerati uccisi fuori la sezione di Acca Larentia, un rito che cementa l’identità e l’appartenenza alla nostra comunità umana. Un momento che negli ultimi anni ha visto assumere una nuova centralità diventando il principale appuntamento di piazza che riesce a mettere insieme le varie anime della Destra altrimenti divise e litigiose.

La mia speranza è che proprio nel ricordo dei nostri caduti si possano finalmente abbattere i muri che hanno diviso per anni la nostra comunità militante, che si possano dimenticare vecchi rancori e dissapori. L’auspicio è che una nuova primavera possa vederci di nuovo tutti insieme per proseguire la nostra lotta ribelle in nome di quei valori, di quell’amore per la giustizia sociale, per scegliere ancora una volta l’azione e la sfida perché una Italia diversa è ancora possibile.

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Luigi Rispoli
Luigi Rispoli
Giornalista pubblicista, organizzatore del Premio Masaniello – Napoletani Protagonisti, fondò insieme al poeta Salvatore Barone il gruppo musicale Vento del Sud, è stato componente della Giunta Esecutiva Nazionale del Centro Sportivo Fiamma ed ha fatto parte del Comitato Regionale del CONI per l'organizzazione dei Giochi Studenteschi, è direttore editoriale di Questanapoli, periodico a distribuzione gratuita.

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