Elly Schlein, la segretaria del Pd nominata con l’intento di creare a sinistra a una figura anti-Meloni, che la rispecchiasse nel suo esatto opposto, sta fallendo il suo mandato sotto tutti i punti di vista. Perché, seppure capace di far risalire i dem alle europee (cosa certamente imputabile a un calo del Movimento Cinque Stelle e a una maggiore polarizzazione, che potrebbe essere una buona notizia per la democrazia ma sicuramente non nelle forme ideologiche con cui la stanno costruendo), l’italo-svizzera non è riuscita nell’intento di riavvicinare il mondo produttivo al partito che guida. In altre parole, è sotto gli occhi di tutti che il Pd, negli ultimi anni, abbia subito un allontanamento dagli storici comparti che la sinistra aveva sempre rappresentato, la classe operaia per esempio, che ha iniziato convintamente ad appoggiare la destra e (dati alla mano) Fratelli d’Italia. Ma al contempo, Schlein non è riuscita neppure a riunificare il Pd con la classe imprenditoriale, che resta distante in quanto a prospettive e intenti. Insomma, Schlein ha allontanato ancora di più il Pd dalla vita reale dei cittadini, a fronte di un esecutivo che è riuscito a fare gli interessi degli impiegati, con incentivi all’assunzione, gravi fiscali e conseguenti aumenti salariali, e anche dei datori di lavoro, con misure analoghe che favoriscono anche il loro operato.
Parla per slogan
Il distacco del Pd dalla vita reale è tale che Schlein – forse è una causa, forse è una conseguenza – parla per slogan, quasi per sentito dire. Sembra riportare ciò che le dicono e consigliano gli economisti che le fanno seguito e non ancora scappati (si veda Cottarelli, figura di spicco dei progressisti negli ultimi anni, a un passo dal diventare premier grazie al Pd, scappato dalla sinistra per l’impronta marcatamente radicale imposta dalla nuova leader emiliana). Schlein fa fatica a ricordare la crescita del Pil in quest’anno, ottimo risultato del Governo Meloni che la segretaria del Pd sembra quasi sminuire, come se non sapesse il valore della crescita de prodotto e quanto costi, di fatica, raggiungere l’obiettivo dell’1%, che pure si sta avvicinando.
La cantilena sul salario minimo
La cantonata più corposa arriva però sui salari, che finalmente, dopo anni di magra, sono tornati a crescere. Elly Schlein snocciola dati che noi italiani già conosciamo bene: sostiene che i salari reali, dal 1990, non sono aumentati, ma anzi sono diminuiti e, in questa speciale classifica europea, l’Italia risulta essere l’unico Stato membro dell’Unione europea. Niente di nuovo, anche se Schlein omette due fatti: il primo è che, come rivela Eurostat, il processo discendente si è invertito dall’ultimo anno; secondo, dal 1990 si è succeduta una miriade di governi di sinistra che hanno complicato la situazione e ora, dopo 30 anni di negligenza, la sinistra chiede alla Meloni ciò che lei stessa non ha fatto in decenni di potere. Ma Schlein, dopo il primo slogan sui salari, ne aggiunge un altro, quest’ultimo propinatoci da mesi e mesi e, a onor del vero, non soltanto da lei: il salario minimo. I 9 euro all’ora garantiti per legge sarebbero per lei la soluzione a un’atavica problematica italiana, la panacea a tutti i mali. E la prima reazione che si può avere, se ci concedete di rispondere, occhio per occhio, con uno slogan (vero, però), è: “Perché non l’hanno fatto loro anni fa?”. Schlein, inoltre, dice che il contratto più rappresentativo tra le categorie deve essere preso come riferimento per tutti gli altri contratti. Come se Schlein volesse appiattire la grande diversità di contratti, situazioni, esigenze tra tipologie di lavoratori, come se non ne avesse neppure la cognizione. Dunque va all’aria l’ennesima proposta andata a male: le misure di cui gli imprenditori e gli operai godono ci sono e verranno riconfermate, le polemiche della sinistra sono un contorno che non frega a nessuno.