PD, Pieno di Debiti: chiudono numerose sezioni nella rossa Bologna

Una scena già vista a Roma: dalla Capitale fino al resto d’Italia, il Pd ha aperto l’era del suo nuovo acronimo, non più “Partito Democratico” ma “Pieno di Debiti”. Il rosso non è più quello comunista (forse, e menomale) ma quello dei conti prosciugati. Tanto rosso da non riuscire a mantenere in vita numerose sezioni, persino quelle storiche: a Roma sedici sezioni hanno trovato la parola fine, anche quella di San Lorenzo, storico circolo inaugurato negli anni Sessanta da Palmiro Togliatti. Una crisi talmente rossa che neppure a Bologna, storico feudo dei comunisti che furono, il Pd riesce a tenere aperte le sezioni territoriali. Segnale negativo, probabilmente, un po’ per tutto il mondo della politica, più interessato di questi tempi all’immediato dei social piuttosto che alla vicinanza con le persone. Ma ovviamente è una brutta notizia soprattutto per il Pd, forse primo vero partito che ha scelto la strada della distanza dai problemi reali dei cittadini.

Conti in rosso: 4 milioni di debiti

Indiscrezioni confermate da molti giornali progressisti – dei quali, se lanciano brutte notizie sul Pd, c’è da fidarsi – sostengono che il debito ammonterebbe a una cifra intorno ai 4 milioni di euro. Una batosta che porterà a un ridimensionamento di circa il 40% delle sedi del partito nel capoluogo emiliano. 4 milioni di debiti nei confronti di una delle tante fondazioni a cui il partito ha affidato i suoi immobili dopo la fine del Partito comunista. Il debito in questo caso è nei confronti della Fondazione Duemila, alla quale saranno “restituiti” circa 40 immobili su 87. E anche in questo caso, non si faranno sconti per sezioni storiche, come la Casetta Rossa. Già due anni fa, era finita in vendita la Casa del Popolo di via Dozza.

E sarà difficile, in questo contesto, mantenere vivo l’umore dei militanti e dei volontari che hanno aiutato il partito a costruire il patrimonio. Gli iscritti calano e il periodo di magra è ormai conclamato: nei conti così come a livello elettorale. D’altronde, l’ex senatore del Pd, Claudio Broglia, che è ancora tesserato e contemporaneamente presiede la Fondazione, avrebbe avuto interesse a gestire la questione senza che diventasse di pubblico dominio. Il Corriere di Bologna, che ha lanciato la notizia, sostiene ciò perché l’intenzione sarebbe quella di evitare “l’impatto che una decisione del genere potrebbe avere sull’umore di iscritti, militanti e volontari, che sono ancora il motore immobile di autofinanziamento del partito e potrebbero trovarsi presto ‘spostati’ ad altro circolo”. E a sorprendere ancora di più, come anticipato, è il fatto che al centro di questa ondata di crisi non ci siano soltanto territori in cui la sinistra ha storicamente fatto fatica a emergere, ma vi rientra a pieno titolo anche la Bologna rossa, epicentro del comunismo di una volta, feudo fortemente di sinistra e ancora troppo potente per essere espugnato. Forse, è tutta apparenza e anche lì, nell’Emilia Romagna di Schlein, Bonaccini, Prodi e tanti altri, qualcosa sta cambiando, con le certezze che iniziano a venir meno.

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