Il governo croato ha deciso che l’ospedale di Pola non verrà intitolato a Geppino Micheletti, medico che ha a lungo prestato servizio in quelle corsie dimostrando capacità e altissime virtù: proprio in quel nosocomio infatti, dopo la strage di Vergarolla, ha trascorso lunghe ore a curare i feriti (salvando molte vite) pur sapendo che i suoi due bambini e altri componenti della sua famiglia erano tra le vittime.
Alla storia del dottore eroe, di cui vi abbiamo raccontato in questo articolo (L’eroe di Vergarolla: storia del dottor Geppino Micheletti), si aggiunge dunque una nuova pagina, purtroppo non bella. La notizia del rifiuto di Zagabria di legare formalmente il nome di Micheletti alla storia di Pola, riconoscendogli pubblici onori, arriva da un lungo post social dell’Unione degli Istriani, in cui si riferisce innanzitutto la motivazione della mancata intitolazione: “Il ministro croato della Sanità Helena Hrstic – si legge nella nota – ha spiegato che l’ospedale può svolgere la sua funzione di struttura sanitaria pubblica unicamente mantenendo la denominazione generica, quindi senza alcuna intitolazione”. Spiegazione questa che l’associazione ritiene ridicola ed addirittura offensiva.
Sulla vicenda – riferisce l’Unione degli istriani – è intervenuto il nipote di Micheletti, Gianni Nardin, con parole che esprimono grande dignità: “Il voto contrario del governo croato ad intitolare l’ospedale civile di Pola al dottor Geppino Micheletti mi trova completamente d’accordo. Geppino sarebbe anche lui del mio parere: lì sono morti i suei figlioli, suo fratello e tantissimi altri. Da quell’ospedale lui è scappato, e voglio usare le sue parole, per non doversi trovare ad operare e curare gli assassini dei suoi figli. Quindi grazie, a nome mio e per estensione a nome di Iolanda Nardin (moglie del dottore, ndr) e di Geppino Micheletti” dice il nipote del medico eroe, impegnato da sempre a custodire e tramandare la memoria dello zio. Che conclude: “Mi piacerebbe però, e sono sicuro che piacerebbe anche a loro, se si pensasse di intitolargli l’ospedale di Trieste (dove è nato) o quello di Narni, in Umbria, dove ha continuato a prestare il suo eccellente servizio dopo l’esodo”.