Rinchiusa nei propri preconcetti ideologici, la sinistra fa un ostruzionismo spietato alla riforma costituzionale del premierato. È venuto fuori, durante il convegno di ieri “Obiettivo premierato, al centro volontà popolare e stabilità dei governi”, che l’opposizione ha presentato una miriade di emendamenti al solo fine di rallentare l’iter di stesura e di approvazione di una riforma che l’Italia attende da anni e che potrebbe cambiare, in meglio, le sorti della Nazione. In un numero: circa 2600.
2600 emendamenti, di cui intere decine sono, in sostanza, copie di altri. Molti vanno pure contro la Costituzione e, in generale, emerge una certa volontà di scherno verso la destra: ad esempio, si propone, in alcuni emendamenti, che la durata del governo debba essere non più di cinque anni, ma di “ventuno ore”. Una proposta che, si sa, non può essere accettata: il governo ha durata massima di una legislatura, di pari passo col Parlamento, quindi di cinque anni. In altri emendamenti la proposta è simile, ma al posto di “ventuno ore” si legge “tre giorni”, “ventidue ore” e così via. O ancora, altri emendamenti dei dem vogliono regolare la partecipazione al voto: una sfilza di proposte uguali, con solo il quorum che cambia. Anche di poco: 94%, 90%, 95%…
Da un lato serietà, dall’altra frivolezza. Alla sinistra piace divertirsi con le sorti degli italiani. A nulla importa che, in passato, già negli anni Settanta, era la stessa sinistra a proporre un modello semipresidenzialista, a volere una forma di legittimazione più forte per il Presidente del Consiglio: ora, nella nuova narrazione della sinistra, la riforma della Costituzione sarebbe un pericolo per la democrazia, sarebbe il primo passo verso la restaurazione di un regime totalitario. E il motivo è semplice: solo perché è stata la destra a proporla.
Una sinistra, insomma, più ideologica che mai. Una sinistra che, pur di fare un torto alla destra, non si accorge dell’enorme danno che sta provocando all’Italia. Dal convegno sono emersi numeri disastrosi: secondo Alberto Balboni, presidente della commissione Affari costituzionali in Senato, “l’instabilità politica è costata all’Italia 265 miliardi di euro, nonché 300 mila posti di lavoro all’anno, dunque 3 milioni in 10 anni”. Questo dovrebbe far ragionare il mondo della politica che ancora si oppone alla riforma: mentre nei palazzi si gioca a formare governi e coalizioni post-elettorali, l’economia si disperde, gli investitori nicchiano e i partner dubitano. Le Istituzioni perdono credibilità nei consessi internazionali. E non solo: l’altro dato riportato da Balboni riguarda l’astensionismo, aumentato in sole due votazioni (dal governo Monti al governo Draghi) dall’8% al 13%. In altre parole, gli italiani hanno perso fiducia in chi votano e nella stessa rilevanza del proprio voto: “Del resto – ha commentato il presidente Balboni – le persone votavano per una coalizione e se ne trovavano un’altra, votavano un presidente del Consiglio e si ritrovavano governati da uno che nemmeno si era candidato”.
Tutti problemi che a quanto pare alla sinistra non spaventano. L’unica cosa che la spaventa, è proprio la democrazia: perché se il voto torna a contare e il cittadino ne riacquista consapevolezza, viene meno l’epoca degli inciuci che hanno permesso a partiti minoritari, che perdevano le elezioni, di andare al governo. Salvo poi cadere quel governo e riformare altre infinite coalizioni senza una visione politica ma con l’unico grande scopo di occupare una poltrona.