Dopo le elezioni russe, vinte da Vladimir Putin con l’88% dei consensi, il Presidente russo che ormai da tempo detiene l’incarico, accompagnato peraltro da non poche polemiche in merito alle sue politiche oppressive, si è ultimamente espresso sulla morte di Aleksej Navalny, suo famoso rivale.
Putin si dice rammaricato per la morte del giornalista russo, dichiarando che poco prima della sua morte, stesse prendendo accordi per liberarlo ed estradarlo altrove in cambio di alcuni prigionieri russi.
Il Premier russo definisce la dipartita di Navalny come “un triste evento”, sebbene la sua parola assomigli più ad una presa di posizione per ripulire la sua immagine dall’onta mediatica occidentale ed anche interna, di cui fino ad oggi si è macchiato.
Non è un caso che moltissimi suoi oppositori siano stati imprigionati per aver espresso le proprie critiche in merito alla guerra ed alle restrizioni a cui viene sottoposto il popolo russo: a tal proposito, l’ultimo ad essere stato condannato a due anni di prigionia è il 70enne Oleg Orlov, Premio Nobel per la pace nel 2022 e noto oppositore di Putin.
Sarebbe tuttavia semplice restringere il campo della vittoria di Vladimir Putin alle elezioni ad una ragione inerente l’efficacia della sua propaganda, ma è ormai chiaro da tempo che le repressioni nei confronti delle proteste e la quantità di arresti ed avvelenamenti abbia a che vedere con quello che ormai sembra diventato un regime tirannico.
Dunque, sono ancora molte le ombre che si espandono sopra il Cremlino, mentre il controllo sociale sostituisce lentamente il ruolo della giustizia reale.