Quel fantasma chiamato “Centro”

C’è una sola certezza: il fallimento della costruzione di un soggetto politico di ‘Centro’, liberale e riformista, alternativo al bipolarismo italiano, è da imputare a un solo responsabile, Carlo Calenda. Un tecnico, prestato alla politica che, come un orgasmo andato storto, a un certo punto ha creduto di farsi leader con l’intento di dettare l’agenda.

Un delirio di onnipotenza che lo ha visto trasformarsi in una sorta di serial killer, con il principale obiettivo di ammazzare nella culla qualsiasi iniziativa messa in campo per provare a dare rappresentanza a un’ampia fascia di cittadinanza che non si riconosce né a destra, né a sinistra.
Un’operazione distruttiva che ha fatto il paio con le piroette che ne hanno caratterizzato la propria vicenda politica. Prima da una parte, poi il giorno dopo dall’altra, promesse di fedeltà e correttezza nei confronti degli alleati del momento, puntualmente disattese e smentite senza riguardo con la presunzione del grande stratega che pensa agli interessi della propria comunità. 

Un film tutto suo, insomma, che ha prodotto purtroppo disastri, fino alla definitiva morte del “sogno”, per alcuni, Terzo Polo. È stato capace di rompere con tutti, non senza avere prima qualcosa in cambio che ha contribuito alla crescita della sua hybris, e se l’è presa in particolare con Matteo Renzi, sul quale ha scaricato ogni responsabilità della loro inimicizia.

Anche se resta il fatto che, se non fosse stato per lui, a quest’ora a Strasburgo ci sarebbe una significativa rappresentanza di riformisti e liberali italiani nel gruppo di Renew Europe a dare battaglia. Insomma, un vero capolavoro di autolesionismo, che andrebbe studiato da un bravo psicologo, non partecipare alla lista di scopo con Più Europa e Italia Viva.

Uno strappo che gli è costato caro. L’impronta lasciata sul luogo del delitto che ha provocato tra i suoi non poche perplessità e aperti malumori, giustificati dalla pessima performance alle urne europee e le ultime confuse scelte su come posizionarsi alle prossime regionali, che lo hanno inchiodato con la pistola fumante in mano.

Sono inevitabilmente iniziati i distinguo e le defezioni. Addii che lo hanno colto di sorpresa, anche se tutti avevano capito che era nell’aria da tempo, e questo la dice lunga sul suo acume politico. 
La reazione è stata come quella di un bambino incredulo che non si fa capace dello sgarbo ricevuto, le ha accusate di ingratitudine per averle “accolte valorizzate in un momento particolarmente critico del loro percorso politico”, ed essere stato ripagato in quel modo.
Nessuna autocritica, ci mancherebbe, intanto nel partito comincia a sentirsi puzza di bruciato, la casa va in fiamme e c’è chi come Ettore Rosato, fino allo scorso ottobre prima di entrare in Azione presidente di Italia Viva, è costretto ad ammettere sconfortato che “eravamo quattro gatti, ora siamo tre gatti”, anche se “alla Camera superiamo Iv”. Che è come morire con il sorriso sulle labbra.

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Giovanni Curzio
Giovanni Curzio
Giovanni Curzio, 21 anni, napoletano, studente alla facoltà di Giurisprudenza della Università degli Studi Suor Orsola Benincasa. Da sempre è appassionato di giornalismo sia di cronaca che sportivo. Collabora anche con agenzie di stampa ed emittenti radiofoniche e televisive della Campania.

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