Il sistema politico, nella persona della maggioranza che sostiene il governo di larghe intese, è rimasto letteralmente spiazzato – per non dire di peggio – dalla conferenza stampa di fine anno di Mario Draghi.
Chi si aspettava un premier remissivo o magari compiacente al pressing («Resta a Palazzo Chigi») dei partiti che lo sostengono continua a non credere alla serenità con cui l'ex presidente della Bce ha indirizzato, di fatto, la sua figura di «nonno al servizio delle istituzioni» sul Colle più alto.
Un'ascesa che il premier, con fare serafico, considera un passaggio naturale, se è vero che a suo avviso tutti i dossier affidatigli da Sergio Mattarella (messa a terra del Pnrr, interposizione con i falchi Ue e ovviamente piano vaccinale) sono stati portati a termine.
Di qui il sottilissimo ricatto alla sua maggioranza: il governo, con il Pnrr già scritto, potrà andare avanti con chiunque. E l'elezione del capo dello Stato dovrà avvenire, a suo avviso, con una maggioranza più larga di quella che ha votato la sua fiducia in Parlamento.
Di fatto un'autoinvestitura, dato che nessuna figura istituzionale può minimamente pensare di poter godere nell'immediato di un semi-plebiscito se non Draghi stesso, appunto.
Ed ecco che, di colpo, la pletora di cantori dell'azione del premier si sono accorti di aver ricevuto l'ultimo spezzone di copione dell'operazione messa in atto a febbraio con la chiamata dall'alto dell'ex presidente della Bce: acclamatelo al Colle. Con tanto di «fate presto».
Un passaggio dovuto, se si segue a pennello lo schema su cui ha lavorato il capo dello Stato uscente, investendo Draghi dei pieni poteri e di un Parlamento schierato per il 95% senza se e senza ma: di più, a scatola chiusa.
Un boccone che si scopre assai indigesto adesso per il grosso dei partiti della maggioranza: consapevoli che il prezzo da pagare, nel caso di Draghi al Quirinale, sarà di un anno a servizio di un esecutivo rispetto al quale continueranno a non toccare politicamente palla (la manovra, ad esempio, è solo l'ultimo provvedimento che passerà con il voto di fiducia). Per giunta in piena campagna elettorale: un sacrificio che pagheranno, come è chiaro, i partiti più esposti al giudizio popolare. Lega e 5 Stelle su tutti.
Come al solito, però, ad uscire fuori dal coro, manifestando apertis verbis i dubbi e stanando le incongruenze sull'ultima uscita di Draghi – con i leader della maggioranza costretti invece a dover celare il dissenso, parafrasando lodi al premier per bocciarne la volontà del passaggio al Colle – è stata Giorgia Meloni. «Più che una conferenza di fine anno, quella di Draghi è sembrata una conferenza di fine mandato e questo spiegherebbe anche gli applausi e la “commozione” dei giornalisti».
Così la leader di Fratelli d'Italia non ha risparmiato una stoccata anche all'atteggiamento di certa informazione mainstream che ha manifestato non proprio un atteggiamento muscolare durante l'incontro con la stampa.
Per il resto, dal punto di vista politico, «dal premier due ore e mezza di auto-celebrazioni: dice tra le righe che i suoi obiettivi sono stati raggiunti ma questo non ci risulta da nessuna evidenza».
In effetti, davanti alle timide manifestazioni di qualche cronista, la replica di Draghi non è stata confortata da alcun riscontro (il famoso precedente è quello della conferenza del 22 luglio quando assicurò che con il green pass vi fosse la «garanzia di trovarsi fra persone non contagiose». Nient'altro che una fake news).
Al contrario, ha insistito Meloni, «nessuna ammissione di colpa sugli errori e le contraddizioni del Governo di questi mesi, a partire dalla gestione della pandemia».
Troppa sicurezza, dunque, sia sulla gestione della crisi pandemica sia sul destino della (sua) transizione politica. Un atteggiamento, questo di Draghi, che ha spiazzato e ha irritato diversi contraenti della sua maggioranza costretti, però, a doverne assecondare ancora – pena l'accusa di sabotaggio – l'ulteriore disegno. Che per loro si sta rivelando sempre di più come un ricatto.
È il prezzo di chi ha brindato all'auto-commissariamento: il conto arriva quando meno te l'aspetti.