I carabinieri del ROS che sgominano una banda dedita al traffico di migranti con l’obiettivo d’infiltrare in Sicilia estremisti jihadisti affiliati all’ISIS, mentre l’intelligence nella sua ultima “Relazione al Parlamento” mette in guardia dal pericolo costituito dai “returnees”, i foreign fighters di ritorno da Siria e Iraq: il 2019 si è aperto dunque all’insegna dell’allarme terrorismo, in continuità con gli anni precedenti. I campi d’indagine sono due e ben definiti: l’intreccio conclamato tra terrorismo e immigrazione clandestina; il comportamento e le mosse di quanti hanno combattuto nei ranghi di ISIS e si trovano ora nuovamente in Italia perché hanno la cittadinanza, il permesso di soggiorno o come paese di transito.
“Rischiate un esercito di kamikaze”, ha dichiarato uno degli arrestati nell’operazione condotta dai ROS. In realtà, le cifre ufficiali – si parla un centinaio di “returnees” – indicano che la problematica in Italia resta lontana dalle proporzioni raggiunte da Belgio, Francia, Germania e Gran Bretagna, paesi da cui dove sono partiti circa 3 mila jihadisti e dove si sono verificati attacchi terroristici con una certa regolarità, più o meno letali in termini di vittime ma tutti sanguinosi.
D’altro canto, solo disonestà intellettuale e cecità ideologica possono continuare a minimizzare, o persino a negare, il fatto che nei barconi che partono dalla sponda nordafricana del Mediterraneo diretti in Italia si possano annidare soggetti già radicalizzati, quindi pronti a compiere attacchi terroristici, o inclini a farsi radicalizzare. Da questo punto di vista, il caso di Anis Amri, l’attentatore dei mercatini natalizi di Berlino nel dicembre 2016, resta emblematico: giunto a Lampedusa nel 2011 dalla Tunisia e radicalizzato in carcere, una volta tornato in libertà è stato accolto nelle reti del jihad sparse in territorio italiano e connesse col resto d’Europa, fino alla strage di Berlino. Di Anis Amri in agguato ce ne sono in abbondanza, come dimostra l’ultimo blitz del ROS, e quelli che riescono a sfuggire alle maglie delle forze di sicurezza finiscono in quelle dell’estremismo.
È il “mondo di mezzo” caratterizzato da moschee e centri di preghiera irregolari, associazioni culturali fittizie e altri luoghi d’incontro a raccogliere gli estremisti aspiranti terroristi che hanno sfruttato l’opportunità dell’immigrazione clandestina e i foreign fighters che tornano dall’esperienza fortificante dei teatri del jihad, fornendo loro supporto logistico e coperture, insieme agli indirizzi operativi. L’intelligence vigila con la dovuta attenzione e nella “Relazione al Parlamento” si legge che sono più di 1.200 i “siti d’interesse” sotto stretta osservazione.
Tali “siti” fanno principalmente capo alla Fratellanza Musulmana, il “dominus” del “mondo di mezzo” dell’estremismo non solo in Medio Oriente ma anche in Occidente, l’organizzazione transnazionale da cui hanno preso le mosse Al Qaeda, ISIS e il fenomeno jihadista nel suo complesso. L’agenda islamista della Fratellanza Musulmana è supportata dal ricco emirato del Qatar e avanza seguendo un doppio binario: da un lato, attraverso le sue reti territoriali presidia alle attività del “mondo di mezzo”; dall’altro, si accredita come forza islamica moderata utile per combattere il terrorismo da essa stessa generato. Uno schema simile a quello adottato dal PCI ai tempi delle Brigate Rosse per acquisire sempre maggiore rilevanza e potere politico.
In Germania, una recente inchiesta giornalistica ha rivelato che l’intelligence tedesca reputa la Fratellanza Musulmana una grave minaccia alla sicurezza nazionale per la crescente popolarità delle moschee e delle organizzazioni che ad essa fanno riferimento. Gli apparati di prevenzione italiani hanno la stessa consapevolezza e stanno ulteriormente rafforzando la vigilanza sulle reti della Fratellanza Musulmana, affinché non offrano supporto ai “returnees” e non reclutino nuovi seguaci attraverso l’immigrazione clandestina, in entrambi i casi per la realizzazione di attacchi terroristici.