di Alessandro Rosponi
Oggi le istituzioni “scoprono” ciò che è noto ai cittadini da anni, ovvero che servono medici e cliniche private in supporto alla Sanità Pubblica. I medici servono subito e anche i neolaureati in questo momento possono tornare utili in reparto e quindi sarà permesso loro di essere considerati a tutti gli effetti “medici” senza attendere l’abilitazione. Le Aziende pubbliche hanno indetto “chiamate” straordinarie per destinare medici alle attività delle Unità speciali di Continuità Assistenziale. Più di 8000 medici hanno risposto alla richiesta della Protezione Civile per l’istituzione di una Task Force medica in supporto dei sanitari che operano nelle zone più colpite dalla pandemia. Inoltre, dopo la Columbus di Roma ci saranno altre cliniche private adibite a Covid-19 Hospital e altre saranno chiamate a fornire specialisti, letti e attrezzature sanitarie. Una generale “chiamata alle armi” nel più classico degli stili operata da parte di un sistema sanitario pubblico in affanno da tempo e mirata a contenere (giustamente) i danni di una possibile esplosione del focolaio pandemico.
La Sanità Pubblica organizzata nel Sistema Sanitario Nazionale (SSN) è stata depauperata in tutti questi anni da amministratori che invece di razionalizzare le spese (in ragione dell’efficienza) sono stati capaci solo di ridurle, iniziando naturalmente dal taglio degli straordinari, delle assunzioni del personale sanitario negli ospedali e delle ore di medicina specialistica ambulatoriale convenzionata. Il “lungimirante” legislatore dell’epoca anziché rendere veramente “abilitante” alla pratica clinica il percorso del medico verso l’Esame di Stato ha voluto creare il “giro” delle scuole di formazione (tra l’altro senza un percorso universitario) a numero chiuso per l’accesso alla medicina generale che ha rappresentato il collo di bottiglia per l’ingresso nel mondo della Sanità Pubblica per moltissimi medici i quali, per non essere “parcheggiati” in incarichi precari in attesa della formazione, si sono dovuti rivolgere altrove. Dove? Alla specializzazione? Quella che manda avanti gli ospedali e che ogni anno fornisce milioni di prestazioni ambulatoriali in regime di convenzione? Solo pochi, perché l’accesso alle scuole di Specializzazione è stato anche quello, e lo è tutt’ora, a numero chiuso costituendo così l’altro collo di bottiglia per il reclutamento di medici da parte del SSN. In entrambi questi casi delle due l’una (ma viene da pensare entrambe): o qualcuno ha sbagliato i conti della programmazione sanitaria o l’accesso alla Formazione di Medicina Generale e alle Scuole di Specializzazione è stato programmato sulla base delle mere risorse economiche e non per coprire il fabbisogno nazionale.
E poi le incompatibilità per i medici una volta che si siano specializzati; a quelli convenzionati, ovvero con incarico di tipo parasubordinato, al SSN è permesso di assegnare poche ore di incarico in virtù della razionalizzazione (vedi ancora risparmio) a fronte di un divieto per il medico di potersi formare anche in medicina generale, di poter accedere ad incarichi di continuità assistenziale (ex guardia medica), di operare nelle case di riposo, di fare attività fiscale, di lavorare nelle strutture private convenzionate, insomma, di avere una remunerazione almeno dignitosa spendendo con competenza la propria professionalità in vari altri campi del SSN, seppure sempre all’interno di un monte orario massimale giustamente riconosciuto. Tutto ciò ha spinto molti medici ad emigrare (per lo più nel Regno Unito) o a dirigersi verso il Privato che ha rappresentato quindi per molti professionisti non una scelta ma una necessità (con le ovvie negative ripercussioni in tema di capacità di contrattazione con le proprietà). Ciò ha sguarnito il SSN privandolo dei servizi essenziali per garantire la continuità delle cure e la tutela della salute dei cittadini, soprattutto quelli più fragili.
La Sanità Privata, nonostante il merito di essersi fatta carico, seppure a pagamento, delle lacune del SSN (che pagava lo scotto degli errori fatti nel passaggio dalla stagione dei diritti a quella dell’efficienza) e di aver garantito con mezzi moderni e personale preparato la continuità delle cure e dell’assistenza specialistica, è stata considerata anziché una risorsa una “concorrente” (quando non centro di interessi economici fatti sulla pelle dei cittadini), perché l’assistenza sanitaria gratuita per tutti è ormai il solo paradigma dello Stato Sociale (non importa poi se non sia possibile garantirla in tempi e modi dignitosi). Il SSN piuttosto che usare le disponibilità del privato sul territorio, per esempio attraverso convenzioni mirate (si pensi alla possibilità di incentivare le strutture sanitarie in zone svantaggiate come le valli montane, già sguarnite a causa dei tagli alla sanità pubblica, per scongiurarne lo spopolamento), lo ha usato per fare solo quel minimo utile ad accontentare i soliti noti.
In generale, si è voluta svilire nel corso degli anni la dignità delle professioni sanitarie che è stata ulteriormente depauperata dall’apertura sul “mercato” a figure complementari non adeguatamente preparate con idonei studi di tipo universitario. I medici (con il loro beni) sono stati presi d’assalto e trascinati nelle aule dei tribunali per cause a dir poco “improbabili” (se non fantasiose) tanto che parte del loro stipendio se ne va ormai in tutela legale (quando possono assicurarsi). I medici dipendenti sono stati sottoposti sempre di più a turni massacranti nelle corsie ospedaliere a causa del blocco del turn-over; i medici specialisti pur con contratto di parasubordinazione sono sati “usati” come dipendenti per poi essere lasciati soli a “combattere” nelle commissioni disciplinari pronte a trattarli come capri espiatori in caso di contestazione (è solo del 2015 l’abolizione della commissione disciplinare paritetica per gli specialisti ambulatoriali convenzionati che a fini disciplinari sono stati assimilati alla dirigenza, con notevole aumento dei rischi di sanzione).
Inoltre l’aspetto economico: più che aumenti di stipendio tutti i professionisti della sanità (medici e infermieri) hanno visto accordi sindacali a progetto (se mi fai questo ti do qual cosina in più, poi l’anno prossimo vedremo) o qualche contentino (come il sacrosanto riconoscimento del tempo di vestizione ai fini dell’orario di lavoro), perché guai a parlare di stipendi adeguati o di straordinari, sono lavoratori come tutti gli altri! Tutto ciò ha pesantemente contribuito anche al sensibile calo delle vocazioni a intraprendere il difficilissimo percorso di studi verso la laurea in Medicina e Chirurgia; un ulteriore tassello nel puzzle della carenza cronica di personale sanitario in Italia. Infine, per pregiudizio ideologico e sistematica avversione ai medici, gli stessi sanitari a cui oggi si chiede di intervenire in emergenza hanno dovuto lottare “con le unghie e con i denti” per veder riconoscere il proprio lavoro come usurante, mentre per altre categorie (come per esempio la ex guardia medica) questa qualifica è ancora ben lungi dall’essere riconosciuta così come altri diritti basilari per ogni lavoratore.
Insomma, solo ieri per l’incompetenza degli amministratori, l’avversione alla categoria e la scarsa lungimiranza della politica mancavano medici e oggi, invece, insieme a pensionati richiamati alle armi e volontari da tutto il territorio ci sono 10.000 nuovi giovani medici a disposizione del SSN che, seppure senza adeguata preparazione, sono pronti a gettarsi nella mischia. Ma non si illuda la categoria, non si intravvede un primo passo verso la riorganizzazione di un SSN ormai allo stremo; il provvedimento emanato per reperire risorse umane non ha l’aria di essere l’occasione per il riconoscimento di una nuova e più efficiente organizzazione della Sanità territoriale e di diritti fino a ieri negati. Esso non mostra i presupposti per un nuovo paradigma in base al quale investire (e non tagliare) sulla sanità pubblica potrebbe rivelarsi particolarmente conveniente.
Per fare ciò la politica deve essere capace di strategie di lungo termine, qui invece siamo in presenza della solita gestione emergenziale ed è molto probabile che la possibilità di inversione di rotta si impantani ancora in una delle ennesime tattiche di corto respiro. In effetti per il momento questi neolaureati saranno ancora medici di serie B, assunti con contratti a tempo determinato, della durata di 3-6 mesi non rinnovabili, senza garanzie e da interrompere alla fine dell’emergenza. La competenza non serve perché per lo più andranno a gestire l’emergenza (come chiaramente specificato nei bandi) attuando dei protocolli operativi dettati dall’alto in base ai quali dovranno decidere chi inviare in ospedale e chi lasciare a casa. Una volta finita l’emergenza tutti di nuovo verso l’imbuto della formazione. tanti di nuovo a spasso, pochi incarichi, poche garanzie, poche ore e tanti divieti.
Certo, quello che ci sarà da fare i medici lo faranno ancora una volta e ciò è dimostrato dalla piena operatività a soli 5 giorni dall’uscita dei bandi delle Unità emergenziali di Continuità Assistenziale che daranno supporto ai medici di base e ai pediatri su tutto il territorio nazionale. Ma faranno di più, come dimostrato dai tanti volontari che hanno risposto alla “chiamata alle armi” della Protezione Civile e della Croce Rossa Italiana per la costituzione di task force in supporto dei territori maggiormente in difficoltà. Hanno un codice deontologico oltre che etico che li obbliga e che rispetteranno fino alla fine (e in questi giorni questo vuol dire anche la morte). Anche le cliniche private (comprese quelle che fino a ieri erano “concorrenti”) a cui è stato chiesto aiuto faranno la loro parte, metteranno a disposizione gratuitamente le proprie strutture tirate su a suon di investimenti privati e di mutui e i propri sanitari; gli stessi sanitari, tra l’altro, che sono stati lasciati fuori dalle garanzie del decreto “Cura Italia”. E’ bene ricordare infatti che mentre agli autonomi e ai professionisti iscritti all’Inps il decreto ha assegnato 600 euro già per il mese di marzo, per tutti gli altri iscritti a Ordini e collegi (compresi quindi medici, odontoiatri e sanitari liberi professionisti e convenzionati), è stato istituito un ‘Fondo per il reddito di ultima istanza’ su cui tra l’altro dovranno pagare le imposte.
Il mondo intero deve oggi ai professionisti della salute estrema gratitudine per il sacrificio che stanno facendo ma quando l’emergenza sarà finita dovrà fare seriamente i conti con loro, con la loro “stramba” pretesa di essere adeguatamente formati, ben pagati, rispettati, tutelati, salvaguardati e, perché no, anche un po’ viziati, ovvero l’esatto opposto di ciò che è stato fatto per loro in tutti questi anni. Dovranno essere messi al centro di un nuovo paradigma sociale che superi le stagioni del “diritto” e dell’”efficienza” per approdare alla stagione del “diritto/dovere” alla salute: diritto per tutti alla cura ma dovere per ciascuno di preservare la propria salute. In questo dovere di salvaguardia della propria salute (per esempio attraverso la partecipazione a programmi di screening, l’abolizione di stili di vita non salutari, il rispetto di semplici regole di igiene ormai dimenticate, ecc.) come prerequisito per rivendicare il proprio diritto alla salute attraverso l’accesso gratuito ai servizi del SSN potrebbe essere la “chiave di volta” per la riforma del SSN che potrebbe portare all’abbattimento dei costi con aumento delle risorse disponibili per la gestione delle future emergenze.
Allora ci si aspetta che gli amministratori e i legislatori del futuro possano trarre insegnamento dagli errori fatti nel passato restituendo dignità e i giusti riconoscimenti (anche economici) alla categoria delle professioni sanitarie, incentivando concretamente la promozione dei corretti stili di vita e ottimizzando le risorse sanitarie (sia pubbliche che private) sul territorio; c’è da sperare, insomma, che non accampino a giustificazione le semplici regole che siamo tutti invitati a seguire oggi per il contenimento dell’epidemia, per continuare a “lavarsene le mani” anche una volta finita l’emergenza.