Fare memoria è un dovere. Un compito, un impegno, un atto dovuto e voluto. Il silenzio è la parola più autentica e profonda che l’uomo possa proferire di fronte agli orrori del passato, ai drammi e alle tragedie di ogni epoca e storia. La memoria si accoglie, si riceve, le si preserva un posto nel cuore dei propositi e nel centro dei pensieri. La si cura, la si custodisce, la si protegge dal logorio degli anni, dalla lenta e inarrestabile avanzata della dimenticanza collettiva, dal disinteresse per questioni e vicende giudicate, erroneamente e frettolosamente, come qualcosa di vetusto e ormai del tutto inutile, semplicemente sorpassato.
Fare memoria è un diritto. Un diritto universale, tanto del singolo uomo quanto dell’umana specie nella sua interezza. La vittima avoca a sé il grido perenne della sofferenza patita, dell’ingiustizia subita, dello strazio indicibile ricevuto dal fratello divenuto carnefice. Il passato abbraccia il presente e si getta in avanti, richiedendo un ascolto continuo, una narrazione infinita e mai interrotta. L’uomo fa memoria raccontando all’uomo: il diritto alla parola incrocia il dovere dell’ascolto.
Fare memoria è costruire, edificare, divenire operai del tempo. Non basta parlare e ascoltare, non è sufficiente. L’azione dice la verità e l’efficacia di un incontro dialogico e memoriale. L’ipocrisia, altrimenti, rischia di scolorire, di svuotare, la memoria dell’evento, di ridurlo a dato, di ammansirlo, di privarlo del suo contenuto provocatorio e vitale. Fare memoria significa caricarsi sulle spalle il peso delle azioni degli uomini che ci hanno preceduto, di portarne la croce, di avviarci verso un sentiero di fatica e di conoscenza, di giudizio.
Fare memoria è dovere, diritto e responsabilità.