In Emilia Romagna, adesso, ci sono due grossi problemi per la sinistra. Il primo, concreto e reale, riguarda l’alluvione, le responsabilità di una Giunta che avrebbe potuto intervenire ma chiaramente non l’ha fatto adeguatamente, non riuscendo neppure a utilizzare i fondi messi a disposizione dal governo. E ancora l’allerta meteo rossa, una possibile nuova alluvione, il fiume Lamone che continua a dare problemi e intere famiglie che, in via precauzionale, sono state evacuate dalla zona. Il secondo problema è politico e riguarda la composizione del campo largo e della coalizione che si presenterà per il dopo Bonaccini.
L’evidenza dei fatti
Le due questioni, dunque, possono avere un peso non indifferente sulla scelta dei cittadini i prossimi 17 e 18 novembre, giorni nei quali gli emiliano-romagnoli saranno richiamati alle urne. Michele De Pascale è il candidato del centrosinistra: di lui, sono state lodate le capacità con le quali è riuscito a creare una coalizione ampia e dialogante, che secondo i pronostici sarebbe pronta a sostituire quella dell’uscente Stefano Bonaccini, già impegnato nella sua nuova avventura europea. Ma quando i sommi capi della sinistra lodano De Pascale, nessuno di loro ricorda come il comune di Ravenna, da lui amministrato, sia quello che ha utilizzato il minor numero di risorse per la manutenzione dei corsi d’acqua: si è scoperto, infatti, che il Governo Meloni, all’indomani dell’alluvione del maggio 2023, stanziò al comune di Ravenna circa 780mila euro per le somme urgenze, dei quali furono utilizzati soltanto 187mila euro, come pure inutilizzati sono rimasti i 10 milioni di euro assegnati per il rifacimento della rete viaria. E allo stesso modo, anche i 3,2 milioni affidati alla provincia di Ravenna per le somme urgenze sono rimasti inutilizzati. Nel triste contesto dell’alluvione, dunque, viene a galla, tra fango e macerie, l’inettitudine delle amministrazioni dem. Non si tratta di eventi catastrofici di immensa portata che in nessun modo potevano essere evitati: la realtà è che molti dei danni, con la giusta manutenzione, potevano essere quantomeno limitati. È questo il punto della questione, che mette in difficoltà la sinistra, non per sciacallaggio, ma per mera evidenza dei fatti.
Il cancan indebolisce il campo largo
Come se non bastasse, a indebolire la sinistra emiliana ci pensano i grandi leader che, da Roma, continuano il forte cancan nato in Liguria: per Giuseppe Conte, Renzi è una “mina a orologeria”, sottolineando agli alleati dem che “noi stiamo ponendo un problema politico serio, stiamo parlando di etica pubblica, non di simpatie e antipatie”. Per Conte, dunque, Renzi è il vero problema del campo largo, lo descrive come uno che “si è sempre distinto per distruggere, rottamare, prende i soldi dai governi stranieri ed è all’origine della contaminazione tra affari e politica”. Della stessa linea il verde Angelo Bonelli, spiegando che la questione sollevata da Conte “ha una sua legittimità politica”. D’altro canto, la questione è veramente complessa: Conte, infatti, vorrebbe entrare nella maggioranza di sinistra, dalla quale adesso è esclusa. Italia Viva, invece, è parte integrante della maggioranza di Bonaccini, potendo contare persino su un assessore: “Noi non dobbiamo entrare in maggioranza – ha detto il fiorentino –, sono i 5 stelle che sono all’opposizione e devono entrare. Portino i voti se li hanno. Io voglio far vincere De Pascale, Conte vuol far perdere Schlein”. La realtà è che né Conte né Renzi hanno completamente torto: il grillino non si fida di chi ha fatto cadere, di punto in bianco, il suo secondo governo; il leader di Italia Viva, invece, vede nelle parole di Conte una chiara strategia di ostacolo del ruolo di Schlein quale capo de facto del centrosinistra. Sta di fatto, insomma, che le cose in Emilia Romagna non stanno andando come i progressisti si aspettavano. Il feudo rosso trema.