Un recente sondaggio di Termometro Politico ha certificato un dato inequivocabile: gli italiani non credono più all’indipendenza dei giornalisti e dei media. Secondo la rilevazione, il 39,1% degli intervistati ritiene che l’informazione in Italia sia pilotata da Stati, ONG e centri di potere che impongono un’agenda liberal e globalista.
Un ulteriore 36,7% pensa che i giornalisti siano faziosi, ma per adesione ideologica più che per corruzione diretta. Dati che confermano come la stampa, lungi dall’essere un baluardo di libertà, si sia trasformata in un vero e proprio strumento di manipolazione e repressione del dissenso. Il modello della narrazione unica è sempre lo stesso: screditare chiunque esca dal perimetro del pensiero dominante, etichettandolo come pericoloso, estremista o addirittura antidemocratico.
Il medesimo schema si è ripetuto nelle ultime elezioni americane, dove circa il 95% dei media era schierato contro Donald Trump e ha cercato in ogni modo di costruire l’ennesima operazione di distruzione dell’avversario. Ma il risultato è stato clamoroso: gli americani lo hanno rieletto con una vittoria a valanga, spazzando via il tentativo dell’establishment di imporre una Kamala Harris inadeguata e senza consenso reale.
Questo dimostra che il potere mediatico non è più in grado di controllare la narrativa pubblica come in passato. Il pubblico ha smesso di fidarsi delle redazioni e ha iniziato a cercare la verità altrove. Un dato che trova riscontro anche in Italia, dove il sistema dell’informazione tradizionale si è progressivamente allineato ai codici linguistici della sinistra. Esempi evidenti sono l’uso sistematico del termine “estrema destra” per delegittimare Marine Le Pen e AfD, mentre l’etichetta “sinistra radicale” viene accuratamente evitata per partiti come La France Insoumise, Podemos o dei compagni nostrani di Alleanza Verdi e Sinistra.
Oppure la demonizzazione costante di figure come Donald Trump ed Elon Musk, descritte con il medesimo linguaggio propagandistico della sinistra.
Lo stesso trattamento viene riservato a Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia, che quotidianamente subiscono attacchi mediatici mirati a screditarne l’operato e a distorcere le loro posizioni politiche. Dai titoli dei quotidiani alle inchieste faziose, dai talk show ai report dei grandi network internazionali, tutto è costruito per alimentare la narrazione secondo cui l’Italia sarebbe governata da un’“estrema destra” pericolosa e antidemocratica, nonostante Fratelli d’Italia sia oggi la principale forza politica del Paese con un mandato chiaro e legittimato dal voto popolare. Si tratta di una strategia ben precisa, già vista negli Stati Uniti con Trump, volta a isolare chiunque sfidi l’establishment globalista.
Un ruolo centrale in questa trasformazione lo ha giocato Elon Musk, che con l’acquisizione di Twitter ha scardinato il sistema di censura preventiva che regolava l’informazione online. Niente più shadow banning, niente più contenuti eliminati arbitrariamente per “disinformazione” solo perché scomodi.
Le interviste di Tucker Carlson su X hanno più pubblico dei network televisivi tradizionali, dimostrando che la gente cerca la verità fuori dal circuito mainstream. Figure come Steve Bannon e Joe Rogan hanno creato spazi informativi che bypassano completamente i media tradizionali, costruendo un modello che potrebbe presto consolidarsi anche in Europa. Questo processo dimostra che la libertà di informazione non è più una prerogativa dei grandi giornali o delle TV, ma sta tornando nelle mani del pubblico.
Di fronte a un panorama mediatico sempre più polarizzato e allineato ai codici della sinistra globalista, sta emergendo una nuova esigenza: creare un network di informazione libera e indipendente, capace di offrire una narrazione alternativa rispetto ai media mainstream. In passato, i partiti conservatori e sovranisti hanno sempre operato in ordine sparso sul fronte dell’informazione, affidandosi a testate e opinionisti indipendenti ma senza una vera e propria strategia coordinata.
Tuttavia, i dati confermano che il pubblico è ormai maturo per un’alternativa strutturata: un grande polo mediatico capace di riunire giornalisti, analisti e intellettuali in una piattaforma comune, al pari di quanto avvenuto negli Stati Uniti con il successo di X, di network indipendenti e dei nuovi format di informazione libera.
Il punto di svolta potrebbe essere proprio la consapevolezza che la guerra culturale si combatte innanzitutto nel campo dell’informazione. Se l’egemonia mediatica della sinistra è ancora forte, è anche vero che mai come oggi esistono gli strumenti per contrastarla: una galassia di giornalisti e intellettuali non allineati che raggiungono milioni di persone attraverso i social e i media digitali, piattaforme alternative come X e Telegram che permettono di aggirare la censura imposta dai media tradizionali e un pubblico sempre più consapevole, stanco delle fake news costruite a tavolino dalle redazioni progressiste.
L’idea di un network informativo alternativo non è più solo un’opzione, ma una necessità. Il rischio, altrimenti, è che il centrodestra rimanga costantemente sulla difensiva, costretto a inseguire la narrazione imposta dall’informazione mainstream e faticando a dettare l’agenda.
I dati di Termometro Politico non lasciano dubbi: la fiducia nei media tradizionali è ai minimi storici e il modello dell’informazione centralizzata e controllata sta collassando. La grande domanda ora è: quanto tempo ci vorrà prima che questo sistema venga definitivamente spazzato via? E chi sarà pronto a raccogliere l’eredità di un’informazione finalmente libera e indipendente?