Stellantis, lezione dagli Usa per Landini: i sindacati americani scioperano, lui fa finta di non vedere

Negli Stati Uniti il comparto automobilistico sta vivendo un periodo di forte crisi. Non solo Chreysel e Stellantis, ma anche altre case automobilistiche come Ford, con migliaia di licenziamenti per i lavoratori. I dipendenti della famiglia Agnelli-Elkann si chiedono che fine abbiano fatto le grandi promesse, i grandi investimenti annunciati. Quello, ad esempio, per la costruzione di un nuovo impianto per batterie, o per una nuova fabbrica in Illinois. Dove sono finiti quei 5mila posti di lavoro che dovevano nascere da un investimento di circa 5 miliardi di euro. Interrogativi che diventano sempre più fitti, dopo che viene esaminato il bilancio del 2023 dell’azienda. Risulta infatti che, nonostante i conti in rosso, la produzione in netto calo e migliaia tra licenziamenti e casse integrazioni, ci sono abbastanza soldi per garantire ai dirigenti guadagni, per così dire, generosi: a Carlos Tavares, amministratore delegato di Stellantis, è stato corrisposto, nel solo 2023, un assegnuccio da 36 milioni di euro. Al suo capo, John Elkann, il compenso è di 4,8 milioni di euro. 43 milioni di euro in due. Soldi che magari non avrebbero risolto tutti i problemi dell’azienda, ma che avrebbero fatto comodo ai tanti dipendenti in difficoltà e con un futuro sempre più incerto. Anche nelle sedi italiane, le cose non vanno meglio. Anzi, la situazione è disastrosa: la produzione è calata del 35% rispetto all’anno scorso, fatica in tutte le sedi nazionali, da Melfi a Pomigliano, da Cassino a Mirafiori, e sono soltanto 300mila, secondo i dati forniti, le vetture completate. Da marzo, sono più di 2mila i dipendenti messi in cassa integrazione.

La Cgil glissa

E giustamente, tutta questa situazione di profonda crisi che grava, a quanto pare, soltanto sugli operai (visto che i capi continuano a godere di benefit privilegiati), ha portato alla dura reazione dei sindacati. Sì, ma soltanto quelli statunitensi: perché, se negli Usa la United auto workers è sempre più pronta allo scontro con la casa automobilistica per chiedere verità sulle promesse mai mantenute dal gruppo, in Italia i sindacati glissano. E glissa specialmente quello storicamente a favore degli operai e contro il padrone capitalista: la Cgil. Il sindacato rosso sembra aver perso quella sua storica vocazione operaia e marxista, schierandosi sempre più a favore di quella nuova sinistra a trazione radical-chic che poco ha a che vedere con il mondo operaio e del lavoro, che si sente ormai più rappresentato dai partiti di destra e specialmente da Fratelli d’Italia: come dimostrano gli ultimi sondaggi, alle europee il 30% degli operai ha votato per Giorgia Meloni.

Lezioni di sindacato

Doveva essere un campanello d’allarme per Maurizio Landini, segretario generale del sindacato rosso, ma niente. Lui continua a fare finta di niente e a occuparsi di altro, di temi distanti anni luce dalla causa proletaria: si interessa delle riforme costituzionali, del premierato, dell’autonomia, dell’attacco politico al governo di destra. Non per una causa specifica, ma soltanto perché di destra. Nelle sue frequentissime interviste ai giornali del gruppo Exor, Repubblica su tutti, la sua critica verso il gruppo degli Elkann e degli Agnelli, piuttosto che essere ferma e decisa come i loro dipendenti richiedono, è sempre molto docile quando c’è, e ben si capisce il possibile motivo. Ed è quasi incredibile che in Italia, un Paese storicamente corteggiato dall’ideologia comunista, che ha rischiato di addentrarsi fortemente (più di quanto abbia già fatto) all’interno dei palazzi del potere più e più volte, l’esempio di come si porta avanti una battaglia sindacale, e soprattutto sul quali tematiche, provenga dagli Stati Uniti, patria del capitalismo. Forse Landini farebbe meglio a rivedere le sue priorità.

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