“È un tempo difficile quello nel quale siamo stati chiamati a governare le nostre Nazioni. Tutto intorno a noi sembra cambiare, tutto viene messo in discussione, e le poche certezze che pensavamo di avere non sono più tali. Il destino ci sfida, ma in fondo lo fa per metterci alla prova. Nella tempesta, possiamo dimostrare di essere all’altezza del compito che la storia ci ha dato. Dimostrarlo ai cittadini che governiamo, dimostrarlo ai nostri figli. Dimostrarlo a noi stessi, forse soprattutto a noi stessi, perché come diceva un grande patriota italiano, Carlo Pisacane, protagonista di quel Risorgimento che fece dell’Italia una Nazione unita, “ogni ricompensa la troverò nel fondo della mia coscienza””.
Partiamo dalla fine dell’intervento di Giorgia Meloni alla 79esima Assemblea generale delle Nazioni Unite. Un intervento che il Presidente del Consiglio ha tenuto da leader internazionale, rivolgendosi a tutti i rappresentanti delle Nazioni presenti, lanciando un monito chiaro all’Onu: deve cambiare il nostro modo di cooperare, di dialogare, non devono esserci Stati privilegiati e Stati dimenticati, le Nazioni Unite non possono essere un’élite riservata a pochi; le contingenze impongono “una riflessione seria sul multilateralismo, sulla capacità delle organizzazioni internazionali di essere all’altezza di questa epoca e delle sfide che ci pone di fronte. Parlo – ha detto la premier – ovviamente anche delle Nazioni Unite, della sua capacità di riformarsi partendo da ciò che è utile e necessario, e non da ciò che è più facile”. Una revisione che non può prescindere “dai principi di eguaglianza, democraticità e rappresentatività. Sarebbe un errore creare nuove gerarchie, con nuovi seggi permanenti. Siamo aperti a discutere la riforma senza alcun pregiudizio, ma vogliamo una riforma che serva a rappresentare meglio tutti, non a rappresentare meglio alcuni”. Così, con una conformazione che rappresenti tutte le Nazioni come operanti tra pari, si possono risolvere i tanti problemi dei nostri giorni.
Il modello italiano verso il Sud globale
Una riforma, dunque, che consenta di aprire un dialogo tra gli Stati più sviluppati e le Nazioni in via di sviluppo, perché “i problemi del Sud Globale sono anche i problemi del Nord del mondo, e viceversa. Non esistono più blocchi omogenei, e l’interdipendenza dei nostri destini è un fatto”. Bisogna per questo rispettati alcuni principi, “non scontati”, come “il rispetto reciproco” e la “condivisione”; al fine di relazionarsi con l’altro da pari a pari”. E l’Italia, anche in questo, può ricoprire quel ruolo da apripista che ha già assunto parecchie volte in passato: il modello italiano di cooperazione, è il Piano Mattei. Il piano di investimenti per l’Africa partorito dal Governo Meloni, che si staglia proprio lungo questa scia: cooperazione tra pari, nuovo approccio verso il Sud globale, modus operandi non più predatorio ma di cooperazione, al fine di venire incontro alle esigenze di tutti gli attori in campo. “Il nostro obiettivo, di fronte di decine di migliaia di persone che affrontano viaggi disperati per entrare illegalmente in Europa, è garantire prima di tutto il loro diritto a non dover emigrare, a non dover recidere le proprie radici semplicemente perché non hanno altra scelta”: disperazione su cui lucrano i trafficanti di esseri umani, che il governo italiano sta combattendo attraverso il “follow the money”, uno dei maggiori lasciti “di due grandi giudici italiani, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino”, altro modello italiano seguito nel mondo.
Ma Sud non è soltanto Africa. Il nuovo approccio italiano deve essere applicato anche in America Latina, perché “c’è un filo rosso che lega le organizzazioni che speculano sulla tratta di esseri umani in Africa e chi gestisce il traffico di stupefacenti in America Latina”, là dove “le legittime aspirazioni di libertà e democrazia di decine di milioni di persone continuano a rimanere disattese”: l’esempio è il Venezuela, con Maduro che ancora non ha accettato i risultati elettorali e reprime le contestazioni nel sangue. Contro i suoi soprusi, secondo Giorgia Meloni, “è nostro dovere alzare la voce”.
La difesa dei più deboli
La priorità delle organizzazioni internazionali, qual è l’Onu, deve essere la difesa dei più deboli: per questo motivo, ha detto la premier, “non possiamo voltarci dall’altra parte di fronte al diritto dell’Ucraina a difendere le sue frontiere, la sua sovranità, la sua libertà. Così come – ha aggiunto – affermiamo il diritto dello Stato di Israele di difendersi da attacchi esterni, come quello orribile del 7 ottobre scorso, ma allo stesso tempo chiediamo ad Israele di rispettare il diritto internazionale, tutelando la popolazione civile, anch’essa vittima in gran parte di Hamas e delle sue scelte distruttive. E seguendo lo stesso ragionamento sosteniamo, ovviamente, anche il diritto del popolo palestinese ad avere un proprio Stato. Ma affinché questo possa vedere presto la luce è necessario che i palestinesi lo affidino a una leadership ispirata al dialogo, alla stabilizzazione del Medio Oriente e all’autonomia”. Anche questo significa cooperazione: riconoscere a ognuno i propri diritti. Vanno difesi l’Ucraina e Israele contro chi mina alla loro stabilità e alla loro stessa esistenza, va riconosciuto al popolo palestinese uno Stato, purché guidato, come gli altri, da una forza democrazia, e non più assoggettato ai criminali di Hamas. In Medio Oriente la priorità della premier è “raggiungere, senza ulteriori ritardi, un cessate il fuoco a Gaza e l’immediato rilascio degli ostaggi israeliani”.
Il lavoro italiano sull’Ai
Cooperazione internazionale vuol dire anche collaborare sui temi più impegnativi come l’intelligenza artificiale, alla quale la premier ha dedicato l’apertura del suo intervento. Uno strumento, l’Ai, che la premier non si dice certa di poter chiamare “intelligenza”, perché “intelligente è chi fa le domande, non chi dà le risposte processando i dati”. Insostituibile è dunque l’uomo, il centro di ogni ragionamento, il fine ultimo di ogni classe dirigente: “Si tratta – ha detto – di una tecnologia che, a differenza di tutte quelle che abbiamo visto nel corso della storia, disegna un mondo nel quale il progresso non ottimizza più le competenze umane, ma può sostituirle, con conseguenze che rischiano di essere drammatiche soprattutto nel mercato del lavoro, verticalizzando e concentrando sempre di più la ricchezza. Non a caso – ha aggiunto – l’Italia ha voluto che questo tema fosse al centro dell’agenda della sua presidenza del G7, perché vogliamo fare la nostra parte nella definizione di una governance globale dell’intelligenza artificiale, capace di conciliare innovazione, diritti, lavoro, proprietà intellettuale, libertà di espressione, democrazia”.
L’Italia è pronta
L’Italia, dunque, farà la sua parte perché, come ha spiegato Meloni alla consegna del Global Citizen Award di ieri, “la mia ambizione è quella di guidare, non di seguire”. Il discorso della premier è un avviso al mondo Occidentale e alle Nazioni Unite in generale: o si cambia registro, approccio nel rapporto tra Stati, o sui grandi temi prevarrà sempre la logica del più forte. In un mondo di rivoluzioni, di evoluzioni, talvolta di involuzioni, un cambiamento è d’obbligo: avvicinandoci all’ottantesimo anniversario delle Nazioni Unite, il mondo non può ancora reggersi su modelli creati quasi un secolo fa, quando i rapporti di forza erano diversi, come pure il contesto storico e le esigenze degli Stati. Tutto ciò impone una riflessione e un ripensamento dal quale nessuno, in primis l’Onu, può sottrarsi. “Affrontare i problemi – ha detto la premier – piuttosto che rinviarli, avanzare piuttosto che indietreggiare, preferire ciò che è giusto a ciò che è utile, questo è il nostro compito, difficile ma necessario”. E in questo, ha concluso Meloni, “l’Italia, come sempre, è pronta a fare la sua parte”.
Non v’è dubbio che ha pronunciato un ottimo discorso improntato sul fare subito mentre la tendenza è il rimandare.
Tuttavia, a mio avviso, è stato carente sulla soluzione Ucraina, la più pericolosa al livello di guerra con il coinvolgimento estensivo ad altre Nazioni, doveva affrontare la necessità di indire una conferenza di pace che obbligasse i due contendi a trovare un accordo – mi rendo conto che con i Dem. americani al comando è praticamente impossibile -anche per il fatto primo che sarà impossibile ritornare le due Nazioni, Russia e Ucraina, alla posizione di partenza, secondo ciò che gli ucraini fecero, in particolare nel 2014 (bruciato anche un asilo con i bambini) nel Dombass di lingua e popolazione in preminenza russa