In data 20 maggio il Partito Democratico, per voce del suo segretario Enrico Letta, ha lanciato l’ennesima proposta divisiva e non realizzabile. Dopo Ius Soli, voto ai sedicenni e Ddl Zan, adesso è il turno della tassa sulla successione per creare una dote da dare ai diciottenni. Letta sembra essere a tutti gli effetti in piena campagna elettorale ed il suo comportamento risulta più simile a quello di un leader populista di opposizione. Opposizione che invece, con serietà, patriottismo ed attenzione ai problemi degli italiani, sta portando avanti Giorgia Meloni con molto più senso dello Stato.
La proposta, lanciata in maniera propagandistica sui social network, mira ad aumentare l’aliquota sulla tassa di successione. Il primo punto da prendere in considerazione riguarda l’inappropriatezza di tale iniziativa. Il Partito Democratico fa infatti parte di un governo di unità nazionale che aveva come presupposti la messa in cantiere del Pnrr e l’implementazione del piano vaccinale. L’atteggiamento da progressista radicale che ha deciso di assumere Letta non solo è in contrasto con questi presupposti, ma impedisce di creare le condizioni politiche per mettere in piedi le riforme necessarie ad ottenere i fondi europei, come ad esempio la riforma della giustizia. Perché Letta non parla di separazione tra magistratura inquirente e magistratura giudicante, dello strapotere dei PM o di modificare il metodo elettivo dei membri del CSM?
Il secondo punto da trattare riguarda la profonda ingiustizia contenuta in questo tipo di tassa. L’Italia è il Paese europeo con il carico fiscale più alto ed anche per questo, da diversi anni, la nostra Nazione fatica a competere con gli altri Stati, comunitari e non. Aumentare ulteriormente il carico complessivo (perché è il totale che fa la somma) non farebbe altro che aggravare un sistema di tassazione già insostenibile.
La sinistra non vede, o non vuole vedere, l’ingiustizia perché è sempre stata convinta che reddito e ricchezza rappresentino un bene comune che deve essere distribuito in modo eguale. Ma lo Stato non “redistribuisce” un bene collettivo: esso semmai, dopo un certo limite, crea delle rendite sulle entrate pubbliche ed offre tali rendite ai suoi clienti privilegiati, in una logica di voto di scambio. Infatti la retorica che stiamo ascoltando negli ultimi giorni sostiene che i più ricchi debbano “restituire” ai giovani. Ed è proprio in questo presunto debito dei più ricchi che sta tutta la perversione del socialismo. Il socialismo fonda la propria teoria economica sul fatto che la società sarebbe un gioco a somma zero, secondo cui il successo di uno coincide con l’insuccesso di un altro. Un riferimento concreto di questo concetto generale si trova nella prima pagina del quotidiano Domani del 24 maggio, dove il già responsabile Economia del Partito Democratico Emanuele Felice scrive: “Per giunta dal 2001 (…), il patrimonio si è concentrato nella parte più ricca della popolazione (…), a scapito del 50% più povero)”.
La sinistra inoltre giustifica questa assurda proposta dicendo che altre democrazie hanno tasse di successione superiori. Questo ci dà l’occasione per analizzare il terzo punto, che riguarda la visione del sistema Paese. Una classe dirigente degna di questo nome dovrebbe mirare ad abbassare le singole tasse al livello di quelle dei Paesi più virtuosi, non aumentare tutte le aliquote al livello più alto possibile. È un ragionamento di efficienza, competitività e come già detto, visione. In un’economia senza crescita l’unico modo per migliorare le condizioni di un gruppo di persone è quello di peggiorare le condizioni di un altro gruppo. Ma così facendo la sinistra rinuncia a creare benessere, puntando alla stagnazione, alla decrescita. È la stessa matrice assistenzialista del reddito di cittadinanza, che non risponde minimante ad una logica di interesse nazionale, ma elettorale.
In conclusione, non solo non si può condividere né il metodo né il merito con i quali il Partito Democratico ha portato avanti questa proposta. Risulta difficile credere anche all’intenzione stessa e cioè quella di una misura per aiutare davvero i giovani. Se davvero fosse stata quella l’intenzione, il metodo non sarebbe stato propagandistico, ma avrebbe seguito l’iter parlamentare, ed il merito sarebbe stato corredato da dimostrazioni ed evidenze, non da qualche immagine sui social. I giuristi farebbero qui riferimento ad un caso di simulazione relativa: “Colorem habet, substantiam vero alteram”, dal momento che l’iniziativa appare nobile, ma la sostanza è un’altra, ed è meramente elettorale.