Partiamo da due considerazioni: la prima è che il nostro è un sistema politico chiuso, fatto dai partiti per i partiti, che una volta presi i voti per sopravvivere e portarsi a casa il vitalizio sono disposti a tutto e il contrario di tutto, in barba alla volontà popolare.
La seconda è che gran parte dei politici, per difendere lo strumento che garantisce loro di gestire indisturbati il potere, hanno sempre fuorviato l’opinione pubblica con balle come quella secondo cui «con le riforme gli italiani non mangiano» omettendo, però, che non farle consente a lorsignori di continuare a strafogarsi di potere alle nostre spalle.
Questo è il vero motivo per cui sinistra e grillini si stracciano le vesti per la riforma costituzionale annunciata venerdì scorso dal presidente Meloni: altro che «deriva autoritaria», la realtà è che se il sistema del “premierato” fosse già in vigore Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, Conte e Draghi non sarebbero mai stati presidenti del Consiglio.
O meglio, per riuscirci avrebbero dovuto vincere le elezioni.
Badate bene, i nomi in questione si riferiscono ai 10 anni precedenti alla vittoria del centrodestra che ha portato Giorgia Meloni a Palazzo Chigi: andando a ritroso potremmo scrivere un’enciclopedia per ricordare tutti i ribaltoni, governi tecnici o balneari e i voltagabbana che – nostro malgrado – hanno caratterizzato la politica italiana.
Come sappiamo, pur con tutti i suoi difetti, quello americano è un sistema opposto al nostro, poiché tutti, dai rappresentanti del territorio all’inquilino della Casa Bianca, sono scelti direttamente dal popolo.
Un paio d’anni fa mi capitò di trovarmi a chiacchierare di politica con amici di amici statunitensi che, non capacitandosi delle difficoltà di un grande paese come l’Italia, mi chiesero di spiegargli il funzionamento del sistema politico di casa nostra.
Vi lascio immaginare il fiorire delle espressioni più disparate sui loro volti mentre tentavo di spiegargli proporzionale, bicameralismo perfetto e listini bloccati, ma nulla in confronto all’impossibilità di fargli comprendere la ratio dei 66 governi in 73 anni frutto delle maggioranze arcobaleno, meglio conosciuto come trasformismo, una vera e propria specialità nostrana.
«Dunque, i 5 Stelle chiamavano il Pd “partito di Bibbiano” accusandone i rappresentanti di “strappare i bambini alle famiglie con l’elettroshock”», raccontavo, «così, giusto per citare uno degli innumerevoli insulti che si scambiarono, dicendo che mai e poi mai avrebbero governato gli uni con gli altri. Risultato: dopo poche settimane fecero un governo insieme, con lo stesso presidente del consiglio – Giuseppe Conte – che i pentastellati scelsero insieme a Salvini».
Loro, ovviamente, strabuzzavano gli occhi. Per farmi capire decisi di fargli qualche esempio utilizzando i politici americani: «immaginate che per tornare al potere Trump nomini Nancy Pelosi sua vice e Hillary Clinton segretario di Stato», ho cominciato a spiegare davanti ai loro sguardi increduli, «e che dopo alcune settimane demolisca le riforme di stampo repubblicano da lui stesso introdotte e, subito dopo, sostenga i cavalli di battaglia dei democratici come il taglio dei finanziamenti alla polizia e l’ideologia gender nelle scuole».
Oppure, aggiungo, che a causa di un sistema fatto apposta perché dalle urne non esca alcuna maggioranza, dopo essersele date di santa ragione per tutta la campagna elettorale, il prossimo 6 novembre Trump e Biden fossero costretti a governare insieme.
Chiunque a quelle latitudini lo giudicherebbe folle, peccato che da noi sia la normalità: ricordate quello slogan che recitava «realizziamo i vostri sogni»? Ecco, per rappresentare il sistema politico italiano potremmo parafrasarlo e ingaggiare Freddy Krueger come testimonial: «realizziamo i vostri incubi».
Mostro malvagio che i protagonisti del film sconfiggevano imparando a non averne più paura, voltandogli le spalle. Che sia il caso prendere spunto?