Che cosa significa “woke” e che cosa si intende con cultura del wokismo? Ma soprattutto, cosa c’entra Donald J. Trump con tutto questo?
Ebbene, queste sono tutte domande a cui vale la pena rispondere se si vuole davvero comprendere quale è il significato profondo che si cela dietro al primo discorso che il 47° Presidente degli Stati Uniti ha pronunciato dinanzi al Congresso.
Non è una sorpresa che oramai qualsiasi cosa dica o faccia Trump diventi inevitabilmente oggetto di polemica. A prescindere dal fatto se sia giusta o sbagliata.
E il discorso di pochi giorni fa non ha fatto eccezione. Ed ecco quindi che è stato sollevato un polverone mediatico -quasi- senza precedenti, che ha in buona sostanza messo in ombra il fatto, ben più rilevante, che il tycoon non ha solo recitato uno dei più lunghi discorsi presidenziali degli ultimi decenni (per l’esattezza, si parla di ben 100 minuti), ma forse anche uno dei più appassionati.
Con Trump arriva anche la fine della tirannia wokista
Sono stati diversi i passaggi che hanno fatto storcere il naso alla democraticissima sinistra, portando molti media a prospettare un infausto futuro per gli americani. Eppure, ad una attenta analisi, quanto riferito da Trump è in realtà quanto da lui stesso dichiarato già in campagna elettorale e portato avanti nel concreto dal giorno del suo insediamento fino ad ora.
C’è stato un punto, nello specifico, che ha colpito più di altri. Ed è quello facente riferimento alla cultura woke.
Il Presidente repubblicano ha infatti affermato, con orgoglio, la fine della dittatura woke: “Il nostro Paese non sarà più woke”, ha annunciato, ribadendo poi che “La wokeness è un problema, la wokeness è un male, non c’è più e ci sentiamo molto meglio per questo”.
Ha poi proseguito mettendo in luce alcune dinamiche che sotto la sua presidenza cambieranno: “Crediamo che sia che siate un medico, un contabile, un avvocato o un controllore del traffico aereo, dovreste essere assunti e promossi in base alle capacità e alle competenze, non alla razza o al genere”, ha dichiarato, rimettendo così al primo posto il merito, e non un qualche assurdo diritto basato su mere considerazioni di genere.
La cultura woke: dalle origini storiche alle storture operate dalla sinistra
Veniamo ora al punto. Ovvero, cos’è che dunque dice di aver sconfitto Donald Trump?
Da un punto di vista etimologico, secondo il dizionario Cambridge, “woke” significa “consapevole, specialmente di problemi sociali come il razzismo e la disuguaglianza”.
Stando all’Oxford English dictionary, con questa espressione si suole intendere una persona “consapevole dei problemi sociali e politici e preoccupato del fatto che alcuni gruppi della società siano trattati meno equamente di altri”.
In Italia, la Treccani spiega che “woke” fa riferimento a chi “si sente consapevole dell’ingiustizia rappresentata da razzismo, disuguaglianza economica e sociale e da qualunque manifestazione di discriminazione verso i meno protetti”.
Da un punto di vista storico, invece, la comparsa di questo termine sembra legata agli afroamericani della prima metà del secolo scorso, che spesso la utilizzavano per spronarsi a vicenda a rimanere “all’erta” dinanzi ai pericoli e per ricordarsi di tenere sempre “gli occhi aperti”. Presto però il suo significato si è allargato per indicare anche i bianchi che decidevano di far sentire la propria voce per evidenziare la discriminazione e la disparità di trattamento nei confronti dei neri.
Ma è col nuovo millennio che questo termine si è diffuso sempre di più a livello culturale e sociale (e financo politico), ricomprendendo di fatto qualsiasi tipo di attivismo, di riflessione e di misure anche politiche a tutela delle minoranze in generale, al di là del colore della pelle, e di temi come il cambiamento climatico. E poi, con la morte di George Floyd nel 2020 e di altri episodi simili a danno di persone afroamericane la frase “stay woke” è tornata in auge, inserendosi nella scia del movimento Black Lives Matter, e in parte in quello femminista del #MeToo.
Perché dunque dovrebbe essere qualcosa da sconfiggere? Presto detto. Perché, semplicemente, quella che era la natura originaria del wokismo, è stata poi distorta, così come spesso accade quando di mezzo ci sono i progressisti-estremisti. Infatti, quella della cultura woke, che inizialmente si rifaceva ad un’idea di giustizia e uguaglianza, con riferimento in particolar modo delle minoranze, si è trasformata nell’ennesima follia rossa, trascinando la nostra società al suo punto più basso.
E ha creato così una realtà in cui se non segui il pensiero preimposto non hai diritto di dire la tua. Una realtà in cui se sei di destra, rischi di essere tacciato dei peggiori epiteti inimmaginabili. Una realtà in cui essere cristiani non è più un valore, ma quasi una vergogna. Una realtà in cui il politicamente corretto ha spodestato ogni libertà di espressione. Una realtà in cui, insomma, è proprio chi più invoca alla libertà, è chi più la sopprime. Ecco perché, quindi, quando Trump dice di aver posto fine alla tirannia del wokismo sta ponendo di fatto le basi per una nuova e migliore società, più libera e virtuosa. È questo forse il più grande messaggio di speranza che ha lanciato Trump al Congresso e all’Occidente intero.
Per quel che ci riguarda, fortunatamente, l’Italia ha già fatto la sua scelta da tempo, ben prima dell’arrivo del tycoon. Ed è esattamente questo che fa ben sperare che il nostro Paese sia nella direzione giusta per vivere un rilancio culturale e sociale senza precedenti, sotto la guida fiera di un governo di veri patrioti.