È stato più volte sostenuto – e non a torto – che allo stato attuale Giorgia Meloni è la leader europea che vanta il rapporto migliore e più stretto con l’amministrazione americana di Donald Trump e con lo stesso neo-eletto presidente americano. Ed è giunto il momento, oggi, di far valere quel legame.
Quasi in extremis, si è giunti al summit di Parigi tra i principali Paesi europei, che cercheranno di farsi valere per entrare nel tavolo delle trattative preannunciato da diversi giorni tra USA e Russia. Il rischio è che lo scetticismo nutrito da ambo le parti nei confronti dei vari governi europei e delle Istituzioni comunitarie, prevalga, lasciando così l’Europa beffata dopo un sostegno continuo militare e politico nei confronti di Kiev, almeno per le fazioni politiche che hanno diligentemente portato avanti la questione. Il problema vero, però, non è quanto ogni singolo Paese abbia sostenuto l’Ucraina, ma quanto ogni singolo Paese abbia la forza di imporsi politicamente. Qui entra in gioco Meloni, che potrà far valere la sua vicinanza politica con il tycoon e i suoi storici buoni rapporti con gli Usa. Ma c’è anche un altro rischio, non secondario: cioè che l’Ucraina venga esclusa dagli accordi. Un paradosso enorme: evitare che la pace venga imposta dall’alto deve essere una priorità, perché non può esserci pace duratura se non è condivisa pienamente con Kiev.
Da Palazzo Chigi, secondo diverse testate, sembra essere trapelata una certa titubanza nei confronti delle modalità con cui si è deciso di operare. A partire dalla scelta di escludere alcuni Paesi dal summit emergenziale. Paesi, alcuni dei quali hanno sempre convintamente sostenuto la causa ucraina, come la Finlandia, che condivide con la Russia un confine lungo più di mille chilometri. Secondo alcuni virgolettati non confermati, Meloni sembrava sul punto di non aderire al summit, ma a quanto pare questa non sembra essere un’alternativa valida e gradita alla premier. Giorgia Meloni ci sarà, da leader italiana e da leader europea. A lei l’onore e l’onore di far valere le istanze europee prima ancora di un’Europa che, come sempre la destra denuncia, fa fatica a farsi valere in campo internazionale. Appare più come un mostro burocratico tanto grande con i piccoli quanto piccolo con i grandi.
È il tempo dell’Italia: gli altri Stati membri lo riconoscano
In questo contesto, come sempre accade in un diritto internazionale che non è altro che rapporti di mera forza e in cui niente è dovuto, l’Italia è pronta (e a tratti obbligata) a ‘scavalcare’ l’Europa, a farsi lei stessa portatrice delle istanze comunitarie facendo valere il suo peso internazionale. Il punto della questione sarà dunque questo: capire se gli altri Paesi europei saranno disposti, una volta per tutte, ad accettare la leadership italiana che nei fatti è lampante, o preferiranno adottare la strategia dello scontro a oltranza con l’alleato americano, destinata – è anche inutile specificarlo – al fallimento.
Perché, quest’ultimo, è un ulteriore nodo cruciale della questione: non bisogna inimicarsi nessuno. Se l’Europa, debole com’è, volesse iniziare un braccio di ferro con le altre potenze, ne uscirebbe con le ossa rotte. Sarebbe come andare in guerra con delle freccette. Non bisogna inimicarsi Trump (che è in buoni rapporti ultimamente solo con l’Italia) né bisogna attaccare ulteriormente Putin che, essendo una delle parti, ha potere di veto sull’Europa. Veto che sarebbe stato scontato se i vari Paesi della Ue non avessero sostenuto militarmente Kiev in questi anni. È tempo dell’Italia e delle capacità diplomatiche di Giorgia Meloni. In lei, anche inconsapevolmente, spera tutta l’Europa.