L’Istria alla fine della Seconda guerra mondiale vive un destino estremamente incerto e difficile: nonostante le numerose manifestazioni di italianità della popolazione, infatti, si va verso l’annessione alla Jugoslavia. Pola, con la sua Arena e la sua gente che si sente legata all’Italia, vive giorni di attesa, durante i quali si cerca di continuare a sperare e di fare, nel frattempo, una vita il più possibile normale.
E’ il 18 agosto del 1946. Il clima è afoso e così in molti si recano sulla spiaggia di Vergarolla per godersi un po’ di aria di mare ed assistere alle gare di noto della Coppa Scarioni, promosse dalla Federazione Italiana Nuoto con la collaborazione della società sportiva polesana Pietas Julia, che nell’occasione festeggia i 60 anni dalla sua fondazione. La spiaggia è affollatissima: famiglie con bambini, gruppi di amici e gente festosa e spensierata. Tra i presenti ci sono i familiari del dottor Geppino Micheletti, noto ed apprezzato chirurgo del locale ospedale, che non li ha accompagnati perché è di turno.
Poco dopo le 14 una potentissima esplosione scuote l’aria. Il dottore, che in quel momento era a casa per pranzo, corre in ospedale: i primi feriti arrivano poco dopo il suo rientro in corsia. Ancora, però, non si sa nulla di certo su quanto è accaduto: si parla di una deflagrazione a Vergarolla, forse di una delle immense mine presenti sulla spiaggia, ritenute non pericolose perché non innescate. In realtà pericolose lo sono eccome, perché molto probabilmente qualcuno, in segreto, le ha riattivate. Ed ha compiuto una strage: il numero dei morti non è stato possibile accertarlo perché di molta gente non è rimasto nulla. Sono stati identificati 64 corpi, ma si stima che il numero delle vittime sia stato superiore a 100.
Nonostante, negli anni successivi, si sia tentato di fare chiarezza, non si è mai saputo cosa sia veramente successo né di chi sia la responsabilità della morte di tanti innocenti. Diverse le ipotesi, più o meno accreditate e credibili, che sono state fatte: una è quella dell’incidente ed un’altra, assai più probabile, è quella dell’attentato compiuto dalla polizia politica di Tito (OZNA) per convincere con la violenza gli italiani ad abbandonare l’ultima città istriana ancora non sotto il controllo degli slavi. Scopo, questo, che effettivamente viene raggiunto perché dopo la strage la città si svuota della popolazione italiana, che parte per l’Italia, da esule, a bordo della motonave Toscana.
Tornando al 18 agosto e a Geppino Micheletti, il medico pur molto preoccupato per la sua famiglia che sa essere a Vergarolla e di cui non ha notizie, non smette di dedicarsi ai feriti che continuano ad arrivare. Purtroppo le sue speranze che i suoi siano salvi si infrangono nel corso del pomeriggio: il corpo senza vita di Carlo, il figlio maggiore di Geppino (9 anni), giace in una stanza dell’ospedale accanto ad altre vittime. Del figlio più piccolo, Renzo (6 anni), verrà trovata solo una scarpina. Insieme a loro la famiglia Micheletti perde anche il fratello di Geppino e sua moglie. Quando viene a sapere con certezza dei gravi lutti familiari subiti, il dottor Micheletti si accascia su una sedia. Ma è solo un attimo. Poco dopo, infatti, reagisce con decisione e dice: “Adesso bisogna pensare ai vivi”. E resta al suo posto continuando ad operare. Lavora, lavora senza pause. Vuole tentare di salvare quanta più gente possibile. Ed opera per 24 ore consecutive.
Pochi giorni dopo tutta la città partecipa ai funerali delle vittime. Il giornale locale, L’Arena di Pola, titola a tutta pagina: “Pola è in lutto”. Nell’editoriale sull’accaduto si legge tra l’altro: “la guerra non è finita. Lutti che si rinnovano, bare che si compongono in lunga fila, lamento di feriti che riempiono ancora le corsie degli ospedali. Un martirio che poche città hanno conosciuto”.
Nel corso della celebrazione delle esequie, il vescovo Raffaele Mario Radossi dice: “Non scendo nell’esame delle cause prossime che hanno determinato un simile macello. Io rimetto tutto al giudizio di Dio, al quale nessuno potrà sfuggire nell’applicazione tremenda della sua inesorabile giustizia”. Agli uomini, oggi come allora, il compito di preservare e tramandare la memoria dell’accaduto e rendere il giusto omaggio alle tante vittime innocenti.