Nelle ultime settimane, a seguito dell’uscita della circolare INPS 166/2021 che ne indica le modalità di richiesta, si è molto parlato del cd “reddito di libertà”, un contributo alle donne che hanno subito violenza, istituito con la L. 77/2020 con il proposito di sostenere le vittime in particolari condizioni di povertà.
Precisiamo che esistono già agevolazioni lavorative e sostegni per le donne che hanno subito abusi o molestie e che con questo intervento il Governo intendeva andare oltre, credendo di dare una spinta anche all’autonomia economica di una persona abusata che è già nella direzione di una autonomia psicologica e sociale.
Draghi è partito da un buon proposito ma l’ha declinato male, facendolo rimanere solo un roboante annuncio, con un fondo limitato di risorse non in grado di soddisfare tutte le richieste e un assegno erogato dopo un complesso percorso da Forche Caudine.
Si parla, infatti, di un contributo “massimo” (e pertanto anche inferiore ai 400 euro mensili per un anno) finalizzato a sostenere le spese per l’abitazione ed il percorso scolastico dei figli minori. Nella richiesta, poi, i servizi sociali dovranno certificare “la condizione di bisogno straordinaria o urgente”, la domanda dovrà essere controfirmata da un centro antiviolenza riconosciuto dalla Regione pena l’inammissibilità e tutta questa documentazione dovrà essere inoltrata all’INPS dal Comune.
Insomma, dopo la “lotteria degli scontrini”, arriva la “lotteria dei CAV”, che vedrà vincitrici solo alcune tra quelle donne che siano state assistite dai centri antiviolenza. Ma la questione fondamentale rimane proprio quella che non tutte le vittime si rivolgono a questi centri e molte volte affrontano un percorso di fuoriuscita dal problema semplicemente tramite il sostegno dei volontari di associazioni specializzate ma non accreditate o di quello di uno psicologo. In più, la cifra erogata non è sufficiente per perseguire un percorso di autosufficienza economica, presupposto dal quale nasce la norma, ma si basa su una logica assistenziale che non prevede meccanismi proattivi per la ricerca di un lavoro o la futura realizzazione professionale.
È necessario, quindi, modificare la legge consentendo che la certificazione del “percorso di fuoriuscita dalla violenza in direzione della propria autonomia” venga effettuata anche dagli stessi servizi sociali, o dal terapeuta che ha seguito la vittima o dalle associazioni specializzate.
Fratelli d’Italia propone anche che il tetto massimo sia raddoppiato e portato ad una quota di 800 euro al mese, con l’aggiunta di 100 euro per ogni figlio minore in carico economico alla richiedente. L’assegno deve essere vincolato nel secondo semestre di erogazione alla partecipazione ad un corso di formazione professionale o ad un tirocinio formativo o all’ iscrizione e frequenza di corsi universitari. Il contributo, infine, deve decadere in caso di assunzione o di avvio di attività in proprio.
Solo così, con quello che potremmo definire “assegno di autonomia”, si potrà finalmente parlare concretamente di sostegno all’indipendenza economica ed emancipazione.
Diversamente, si tratterà solo di “mancette di Stato” che non garantiranno alcun accesso al mondo del lavoro.