È ormai indubbio che l’Italia sta vivendo un ottimo periodo in campo economico. Proprio ieri avevamo parlato del Pil italiano, rivisto ancora al rialzo secondo le attese, in virtù dell’ottima risposta da parte della nostra finanza a un generale rallentamento dei mercati globali, a cui soccombono tutte le maggiori potenze mondiali tranne l’Italia, seconda nei Paesi del G7 soltanto agli Stati Uniti (e nemmeno di tanto) e in Europa sotto solo alla Spagna, che tuttavia sta conoscendo soltanto negli ultimi mesi una ripresa dalla pandemia, fase che l’Italia ha già largamente conosciuto e superato. E inoltre abbiamo evidenziato l’ottimale stato di salute dell’economia italiana che ha addirittura sorpassato quella dei competitors d’Oltralpe: in Francia il debito è più elevato di quello italiano, cresce a ritmi più serrati rispetto a quello italiano e la disoccupazione è diventata più alta di quella italiana, dopo decenni di predominio in questo senso. Forse demeriti francesi (anche se la disoccupazione è a un buon 7,3%) ma sicuramente meriti italiani. E mentre la sinistra era troppo impegnata a indignarsi perché ha scoperto che, oltre al diritto allo sciopero, esiste anche quello a non scioperare, incolpando di questo (ovviamente) il Governo Meloni e quei fascisti della destra che lasciano libera scelta ai lavoratori Rai se unirsi o no alle proteste indette dall’Usigrai e libera valutazione delle sue motivazioni, queste notizie passavano in sordina sui giornali più progressisti, quasi come fossero delle brutte notizie di cui nessuno vuole sentire parlare, soprattutto in vista delle prossime elezioni europee.
Povertà ancora in calo
Tuttavia, i numeri sono numeri, inopinabili e certe. E, spiace per la sinistra, le buone notizie per l’Italia in campo economico continuano a essere sfornate dai più autorevoli istituti di ricerca. Nelle scorse ore, due studi hanno sottolineato le buone condizioni della nostra economia interna. In primis l’Istat, che ieri ha pubblicato uno studio sulle condizioni di vita nel nostro Paese in relazione all’ultimo anno trascorso. Nel comunicato stampa diffuso dall’istituto di ricerca, risulta che “nel 2023, il 22,8% della popolazione è a rischio di povertà o esclusione sociale: valore in calo rispetto al 2022 (24,4%) a fronte di una riduzione della quota di popolazione a rischio di povertà, che si attesta al 18,9% (da 20,1% dell’anno precedente)”. Effettivamente una notizia non nuova: già negli scorsi mesi era stato emanato un dato simile, cosa che non ne minimizza il significato, soprattutto in considerazione dell’alta inflazione affrontata. La vera impresa è stata proteggere i redditi più bassi dai crescenti costi della vita, che non smettevano di incrementare, dopo una pandemia e lo scoppio di una guerra nel cuore dell’Europa. Impresa in grandissima parte resa possibile grazie all’intervento del Governo Meloni che, nelle sue due leggi di Bilancio fin qui formulate, ha provveduto a difendere i redditi più bassi mediante una riforma fiscale ancora in atto, da completare e implementare: il taglio del cuneo fiscale e l’accorpamento dei primi due scaglioni Irpef, con l’utilizzo dell’aliquota più bassa fra questi, hanno occupato la maggioranza delle risorse investite nell’ultima finanziaria, e così bisognerà fare in futuro, prevedendo, com’è attualmente intenzione dell’esecutivo, un allargamento dei benefici anche ai redditi medi.
Redditi e consumi in crescita nel 2024
Poi è stato il turno del rapporto annuale Confcommercio-Censis su fiducia e consumi delle famiglie. Secondo Mariano Bella, direttore dell’Ufficio Studi di Confcommercio, “nel 2024 prevediamo, sempre in termini reali, una crescita del reddito disponibile dell’1,4% e dei consumi attorno allo 0,9%: e ciò testimonia la nostra visione complessivamente positiva della salute della nostra economia”. Anche in questo, si percepisce nettamente l’apporto positivo delle politiche fiscali volute e attuate dal Governo Meloni. In Italia, dunque, è tutto rose e fiori? Certo che no, pesano le contingenze internazionali che bloccano la Bce nella riduzione del costo del denaro, rallentando così la spesa e la fiducia, soprattutto nei più giovani. Ma i segnali per l’Italia continuano ad essere ampiamente positivi: “Nonostante qualche fragilità in alcuni settori produttivi – ha detto ancora Bella –, l’economia italiana tiene bene: occupazione in crescita, turismo vitale, soprattutto nella componente straniera, inflazione sotto controllo. Tuttavia, l’incertezza sul futuro rallenta investimenti e consumi. Per ritrovare fiducia serve soprattutto un taglio di mezzo punto dei tassi di interesse da parte della Bce e – ha concluso – accelerare l’attuazione della riforma fiscale”.
Sì, è giusto che si dichiarino i successi della politica del Governo della destra, ma in un colloquio interno a noi vorrei mantenere i piedi per terra.
L’economia italiana è migliorata, ma non è in “ottimo stato”.
I miglioramenti sono sempre misurati in “zero-virgola”.
Il mio professore di economia diceva che nel conteggio di un PIL variazioni dello “zero-virgola” non sono significativi, possono dipendere, per fare una battuta, dalla rivalutazione degli arredi dei ministeri.
Lo so che è un male comune, ma non è un gaudio, nemmeno “mezzo”.
Nel mondo dei ciechi l’orbo è re, ma sempre orbo è.
Pensiamo che in Italia il tasso di occupazione (quanti dichiarano di lavorare nella fascia da 15 a 64 anni) è del 62,1%, in Francia del 68,3%, in Germania del 77,5%.
Questo semplice dato ci dà la misura della strada che dobbiamo fare, e di quanto può davvero crescere l’Italia.
Le imprese italiane hanno una capitalizzazione bassa, la grande industria in Italia declina – pensiamo allla chimica, alla metallurgia, all’automotive….
Il fisco e la magistratura italiani guardano agli imprenditori come a dei sospetti delinquenti.
Le autorità amministrative come a vacche da mungere.
Rimbocchiamoci le maniche, occorre creare le condizioni di uno sviluppo quale il nostro potenziale di risorse umane e tecniche ci può dare.
Con affetto
Alessandro