Nel capitolo 18 di “Mai arrendersi – Il vero Donald Trump”, approfondisco il tema delle “città santuario”, un argomento che incarna perfettamente l’ipocrisia e il fallimento delle politiche progressiste che hanno dominato gli Stati Uniti negli dall’avvento di Obama e che sono degenerate con l’amministrazione Biden-Harris. Le città santuario sono quelle che, per scelta politica, si rifiutano di collaborare con le autorità federali per far rispettare le leggi sull’immigrazione.
Vengono presentate come luoghi di accoglienza e inclusione, dove si garantiscono i diritti fondamentali agli immigrati irregolari, spesso ignorando le norme nazionali. Ma dietro questo velo di nobili intenti, si cela una realtà ben più oscura.
La narrativa progressista dipinge queste città come esempi virtuosi di tolleranza e umanità, ma la realtà è che sono diventate luoghi di degrado, insicurezza e instabilità economica. Prendiamo il caso di San Francisco, una delle città santuario più note: una volta considerata un gioiello della costa occidentale, oggi è devastata da problemi di criminalità, tossicodipendenza, e degrado urbano.
Camminando per le strade di quartieri che un tempo erano il fiore all’occhiello dell’innovazione e della cultura americana, ci si imbatte in mercati di droga a cielo aperto, senzatetto che affollano ogni angolo, e una criminalità che continua a crescere a livelli preoccupanti. E tutto questo mentre le amministrazioni locali discutono di depotenziamento della polizia, abolizione delle carceri e riforme che in realtà stanno solo aggravando la situazione.
Nel libro, faccio notare come queste politiche non siano il frutto di errori casuali, ma di un’ideologia estremista, quella woke, che sta devastando le città americane. I leader progressisti, come quelli che governano New York o Los Angeles, si rifiutano di riconoscere la realtà. Predicano accoglienza, inclusione e diritti per tutti, senza considerare le conseguenze pratiche di queste scelte. Ma il risultato è che i primi a soffrirne sono proprio i cittadini che abitano queste città. La qualità della vita si è deteriorata, i costi sociali sono esplosi e le infrastrutture, che dovrebbero sostenere la popolazione, sono al collasso.
Ho voluto anche analizzare come le città santuario non solo non riescano a garantire l’ordine pubblico, ma abbiano creato un terreno fertile per la criminalità organizzata. I cartelli della droga messicani, i trafficanti di esseri umani e le gang criminali sfruttano le debolezze di queste città per far entrare illegalmente persone e sostanze negli Stati Uniti, sicuri di non essere intercettati dalle autorità locali.
Queste organizzazioni criminali si nascondono nelle pieghe di una politica che favorisce l’anarchia invece della giustizia. E nel frattempo, i cittadini americani si ritrovano in balia di un sistema che sembra averli abbandonati.
Un aspetto fondamentale che ho voluto sottolineare è come queste politiche non stiano aiutando nemmeno gli stessi immigrati. Le città santuario, che dovrebbero essere rifugi sicuri, stanno diventando trappole. Gli immigrati irregolari finiscono per vivere in condizioni di sfruttamento, spesso schiacciati da un sistema criminale che li tiene in ostaggio, mentre le autorità locali si voltano dall’altra parte. Ci si ritrova così in un paradosso: una politica (a parole) nata per proteggere, finisce per esporre ancora di più queste persone a rischi enormi, mentre il tessuto sociale delle città si disintegra.
Non è questione di essere contro l’immigrazione o di voler chiudere le porte agli stranieri. Si tratta di avere delle regole, di farle rispettare e di mettere ordine in un sistema che altrimenti implode su sé stesso. Trump l’aveva capito. Quando insistette sulla necessità di fermare questa deriva delle città santuario, non lo fece per diffondere paura, ma per riportare un po’ di buon senso. La sicurezza non è un concetto negoziabile. E non possiamo far finta che accogliere indiscriminatamente chiunque senza controlli non abbia conseguenze.
Quello che cerco di trasmettere in questo capitolo è un messaggio chiaro: le città santuario, così come sono concepite oggi, non funzionano. Non possono funzionare. Come vediamo anche alle nostre latitudini, senza una politica di immigrazione che sia basata su regole chiare e un sistema di controlli efficace, si alimenta il degrado urbano, di mettere a rischio la sicurezza dei cittadini e di far collassare i servizi pubblici. Queste città stanno diventando emblemi del fallimento progressista, e il prezzo da pagare lo stanno sostenendo tutti coloro che vi abitano, dagli immigrati regolari ai cittadini americani.
Trump ha avuto il coraggio di affrontare questo tema senza mezzi termini, denunciando la follia woke e proponendo soluzioni per ripristinare ordine e sicurezza. E mentre Kamala Harris continua a propagandare il mito dell’accoglienza senza limiti, la realtà dimostra la scelleratezza e la dannosità del suo approccio ideologico.