La riforma della giustizia fa già discutere. Sinistra e Anm insorgono, ma limitare le correnti interne alla magistratura è un bene. Giorgia Meloni si rifà a Giovanni Falcone
La riforma della giustizia varata ieri dal Consiglio dei Ministri e in attesa dell’approvazione parlamentare, fa già discutere di sé. Con la solita cantilena: la deriva autoritaria. Ridurre i poteri del Csm e proporre la separazione delle carriere non comporterà un controllo politico sulla magistratura né un calo dell’indipendenza giudiziaria. La quale, anzi, ne gioverà, prevedendosi un superamento di quel sistema di correnti che oggi dilania la magistratura, la divide, condiziona i giudizi di autodisciplina interna e comporta, questo sì, una chiara ingerenza politica sui giudici, compromettendo il lavoro di quelli che vorrebbero realmente essere indipendenti. L’obiettivo della riforma, dichiarato direttamente dal presidente del Consiglio Giorgia Meloni nel videomessaggio di annuncio del nuovo disegno di legge, è “ridare piena fiducia agli italiani nella magistratura assicurando i principi di indipendenza e parità tra accusa e difesa”. Ma per la sinistra, non sarà così.
Panico a sinistra, l’Anm vuole lo sciopero
Partiamo da Giuseppe Conte, leader del Movimento Cinque Stelle, che inserisce nelle sue parole un bel po’ di demagogia a buon mercato: “Io trovo scandaloso – ha detto – che questa maggioranza, di fronte alle inchieste giudiziarie, anziché mandare via il marcio che c’è nei partiti, i politici corrotti, voglia mettere la mordacchia alla magistratura, separare le carriere, metterle sotto il potere esecutivo e impedire di andare avanti con le inchieste”. Si capisce che la lettura è totalmente fuorviante: la separazione delle carriere non immetterà il controllo dell’esecutivo sulle stesse, ma servirà ad assicurare maggiore indipendenza tra accusa e difesa, una garanzia per i cittadini. Elimina, in poche parole, un potere de facto e dagli effetti potenzialmente dannosissimi per tutta la democrazia e lo Stato di diritto. La critica più feroce alla riforma, però, è arrivata all’Associazione Nazionale Magistrati, che minaccia giorni di sciopero: “La logica di fondo del disegno di legge sulla separazione delle carriere e l’istituzione dell’Alta corte – fa sapere la Giunta esecutiva centrale dell’Anm – si rintraccia in una volontà punitiva nei confronti della magistratura ordinaria, responsabile per l’esercizio indipendente delle sue funzioni di controllo di legalità. Gli aspetti allarmanti delle bozze del disegno di legge sono molteplici, leggiamo una riforma ambigua che crea un quadro disarmante”. Per i magistrati dell’Anm, “quella di oggi è una sconfitta per la giustizia, significa dar più potere alla maggioranza politica di turno”.
Nel segno di Giovanni Falcone
Ma “di cosa dovrei vendicarmi coi magistrati?”, si chiede intervistata dal Corriere.it Giorgia Meloni, in risposta alla “volontà punitiva” di cui parla l’Anm. “Non capisco – ha infatti dichiarato – perché considerarla una vendetta nei confronti dei pubblici ministeri, è bizzarro parlare di vendetta. Ci si vendica di nemici, io la magistratura non lo considero un mio nemico, bisognerebbe chiedere alla magistratura se considera questo governo un nemico”. Il Presidente del Consiglio rivendica la sua posizione, spiega che la riforma “velocizzerà i processi” e che “le cose che non funzionano le vogliamo cambiare non perché ce l’abbiamo con qualcuno ma per l’Italia e per gli italiani. È una riforma di buon senso. Non è una riforma punitiva – ha aggiunto – io penso che sia un beneficio per i magistrati che vogliono fare il loro lavoro e non vogliono piegarsi a logiche di corrente”.
Esulta Andrea Delmastro, deputato di Fratelli d’Italia e Sottosegretario alla Giustizia: “Dopo trent’anni di promesse roboanti e di marce indietro – ha detto –, con il governo Meloni parte finalmente la separazione delle carriere per la effettiva terzietà del giudice, il sorteggio nella composizione del Csm per contrastare la degenerazione correntizia, l’Alta Corte per un giudizio disciplinare veramente terzo. Liberiamo la magistratura italiana dalla degenerazione correntizia, regaliamo agli italiani un giudice terzo, garantiamo un giudizio sereno e indipendente dell’operato dei magistrati”. Ma le risposte alle critiche dei detrattori sono arrivate anche in serata, da parte della stessa Giorgia Meloni tramite i social. Il Presidente del Consiglio ha infatti voluto ricordare, “a chi accusa il Governo di aver approvato una riforma della giustizia “nemica della magistratura””, le parole pronunciate dal magistrato anti-mafia Giovanni Falcone: “Il Pubblico Ministero non deve avere nessun tipo di parentela con il giudice e non deve essere, come invece oggi è, una specie di paragiudice. Chi, con me, richiede che siano, invece, due figure strutturalmente differenziate nelle competenze e nella carriera, viene bollato come nemico dell’indipendenza del Magistrato, un nostalgico della discrezionalità dell’azione penale, desideroso di porre il P.M. sotto il controllo dell’esecutivo”. Parole quantomai attuali. La riforma della giustizia voluta dal governo Meloni, è anche nel nome di quei grandi pensatori che lottarono, senza successo, per una giustizia migliore.